13 Febbraio 2021

Le notti degli aiuti

Francesca Tuscano
Le notti degli aiuti

Ho sempre visto il Casone come un rifugio. Cupo, severo, solido. Pare sia stata una torre, e della torre ha mantenuto l’idea rassicurante del primo e ultimo luogo protetto fuori le mura. Dall’ultimo piano, dove noi abitavamo, ci si sentiva davvero i padroni di un bastione, affacciato verso la fortezza madre, che custodiva la valletta del Tescio, il Col Caprile, la strada per Gualdo. Una sensazione che era specchio del carattere dei miei – attenti, generosi, autentici custodi di una torre. Quando calava il sole, poi, e fuori Porta Perlici regnavano buio e silenzio, essere custodi del Casone era anche segno di nobiltà (quella vera, concessa dalla natura e non dagli uomini). Un giorno di fine autunno (era appena terminata la raccolta delle olive), già molto freddo (a quei tempi, alla fiera di San Francesco apparivano i primi cappotti), a mia madre cadde una bottiglia d’olio, in cucina. La cosa, certo, le dispiacque, ma con la sua solita calma, ripulì il pavimento e disse che quell’olio sarebbe ritornato. La sera, ed era ormai buio, sentì un rumore sotto le finestre della cucina. Per un po’ non gli diede importanza, ma alla fine si affacciò, e vide un uomo steso in strada, che si lamentava. Chiamò mio padre, e uscirono. L’uomo era scivolato, sbattendo pesantemente il viso per terra. I miei lo fecero entrare in casa perché si riscaldasse, gli disinfettarono le ferite e infine mio padre lo riaccompagnò verso casa. Poi prese un po’ in giro mia madre per il suo spirito da missionaria, dicendole che il tipo che avevano soccorso a malapena aveva detto grazie. Ma mia madre non si scompose, e gli rispose che il bene va fatto per poi dimenticarsene. Il giorno dopo, prima che facesse buio, qualcuno suonò al campanello. Mia madre si affacciò e vide il signore della sera prima, con qualcosa in mano. Chiese di poter entrare, perché voleva ringraziare come di dovere. Mia madre gli aprì, e si vide consegnare un bottiglione di olio nuovo. Quando l’ospite se ne andò, tra scambievoli ringraziamenti, mia madre guardò mio padre sorridendo, facendogli notare che la Provvidenza esiste (lei ci credeva fermamente in quella con la maiuscola), e che il bene fatto non può non tornare. Come l’olio, che era ritornato, come previsto. Mia madre, però, sapeva bene che mio padre è un vero generoso, di quelli che non lo danno a vedere. Quell’uomo l’avrebbe soccorso anche senza di lei in versione missionaria. Una notte, questa volta davvero molto tardi, qualcuno suonò al campanello. Mio padre, all’epoca, insegnava all’Istituto Magistrale – un professore talmente severo da essere amato. Pretendeva molto dai suoi studenti. Studiare per lui aveva significato riscattarsi dalla povertà e dal classismo, oltre che godere di una gioia senza paragoni. Voleva che anche i suoi studenti provassero quella gioia, capissero che appropriarsi della cultura è la prima forma di conquista sociale. E i suoi studenti, dopo qualche ovvia difficoltà iniziale, proprio per la sua passione e la sua serietà, avevano iniziato a riconoscerlo come un punto di riferimento non solo scolastico. Quella notte, a suonare alla nostra porta, erano stati proprio degli studenti di mio padre. Una loro compagna era scappata da casa. L’unica persona con la quale voleva parlare era il suo professore. Ricordo le voci e il pianto della ragazza che arrivavano dallo studio, e il profumo di caffè dalla cucina. Mio padre convinse la sua alunna a tornare dai suoi. Il giorno dopo, a pranzo, a me sembrò che non fosse del tutto convinto di aver fatto la cosa giusta. I bambini, però, sopravvalutano le loro percezioni, quasi quanto gli adulti. E ora che le percezioni sono diventate ricordo, sono ancora più improbabili. Quando Giacomo arrivò nella sua nuova (nella sua prima) casa, mia madre e mio padre ne divennero i custodi, insegnandogli quella forma speciale di amore, che è l’accudimento di tutti, anche di chi non conosciamo. E quando mi disse – mamma, avere qualcuno da amare è bello, perché si diventa doppi – io rividi il volto di mia madre, mentre diceva a mio padre, sorridendo, della Provvidenza. Amare è davvero sdoppiarsi, per raddoppiarsi. E il Casone lo sa. Da secoli.

Francesca Tuscano

Francesca Tuscano laureata in Russo, Italianistica e Lingua e Cultura Italiana. Ha scritto di letteratura, teatro, cinema e musica russi. Lavora come catalogatrice di fondi musicali, traduttrice dal russo, librettista.

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