09 Gennaio 2021

I racconti del Casone

Francesca Tuscano
I racconti del Casone
Claudio Carli. Olio su tela 2001, collezione privata

Il Casone è un edificio isolato, una vecchia torre riadattata che sta subito fuori le mura dell’Assisi di Sopra. È il passaggio della città verso l’Oriente della montagna. Varcata Porta Perlici, sulla sinistra, una grande casa a tre piani vi osserva (triste, severa, autoritaria), mentre allo stesso tempo (e allo stesso modo) guarda verso il cimitero, la Rocca Maggiore (anche lei triste e autoritaria) e il giogo dantesco dei monti di Gualdo e Nocera; una casa sospesa tra la valle sempre in ombra del Tescio e le coste più dure del Col Caprile e del Subasio (il Monte). Insomma, non ha molto da ridere, il Casone. E, alla lunga, la sua malinconia passa a chi lo abita. Viverci significa fare della soglia la propria quotidianità. Attraversato l’arco, ci si trova in un luogo altro – “fuori Porta Perlici” è un’eterotopia. Piazza Nova (al secolo Piazza Matteotti) è aperta al sole, alle chiacchiere dei suoi senatori (il gruppo ormai scomparso di liberi pensatori di mezza ed avanzata età che si riuniva in seduta plenaria di fronte all’ingresso della vecchia Confraternita, fumando e disquisendo dall’alto di una panchina che aveva dignità di scranno), alle partite a pallone sul piazzale davanti al Convitto (anche quello ormai scomparso, sostituito da anni da un parcheggio che si vergogna un po’ di se stesso, e perciò ha pretese estetico-storiche), alla vita segreta (umile, degna e boccaccesca) e pubblica (rumorosa, ridanciana e severa) di donne e uomini che abitano i vicoli cupi che portano alla Rocca e a San Rufino, e lo spazio circolare di quello che era stato l’Anfiteatro di Assisi (e che racchiude fonti alle quali, quando ero bambina, c’era ancora chi lavava, costruendo miti su ambigue virtù e vizi umanissimi del popolo di Piazza Nova). Il Casone, invece, è perennemente in ombra. Un’ombra freddissima. Eppure, sempre scandita dal canto degli uccelli, in ogni stagione – un canto che scompare di là dall’arco, e che vi accoglie appena abbandonate Assisi, facendovi sorridere vostro malgrado. “Fuori Porta Perlici” i rumori umani diventano silenzio e natura. L’ombra del Casone è densa di vita – una vita indifferente a quell’invenzione occidentale che si chiama civilizzazione. Ed è per questo che sorridete, mentre entrate nell’eterotopia dell’ombra.

Quando partimmo per Phnom Phen, con la foto di un essere minuscolo che se la rideva beatamente, steso su un tappetino arancione, capii che non andavo solo a prendere mio figlio, ma che di nuovo varcavo una soglia, per entrare in un mondo altro. Vedere i bambini di strada, le prostitute tredicenni che accompagnavano i vecchi businessman russi nell’albergo dove vivevamo, le baracche sepolte nell’immondizia accanto ai casino frequentati dagli occidentali; ascoltare le storie delle bambine chiuse nei bordelli a quattro anni per poter iniziare a lavorare a sei; capire da chi ha riscattato quelle bambine, quelle prostitute, da chi ha dato una casa ai bambini di strada, che non puoi salvare tutti, ed è terribile ma è così (non scegli chi salvare, eppure tuo malgrado lo fai – e lo avevamo fatto anche noi, in fondo) – tutto questo significava di nuovo entrare in un’ombra densa di vita (sebbene, certo, ben più drammatica di quella naturale e metaforica nella quale ero cresciuta). Un’ombra triste eppure vitalissima, che avevo conosciuto da bambina, nella malinconia e nell’isolamento del Casone, e dalla quale era nato il bambino che ora avevo in braccio, e che mi sorrideva, dopo una settimana di lunghi sguardi indagatori, mentre io finalmente piangevo. Eravamo apparentati all’ombra – perciò eravamo madre e figlio. Due esuli appartenenti a un’eterotopia – io arrivata ad Assisi da Messina, quando avevo due anni, e lui arrivato da Phnom Phen quando aveva nove mesi; io cresciuta “fuori Porta Perlici”, lui nato nell’Oriente meraviglioso e tragico che è il secondo nome di Assisi. 

Dante doveva aver immaginato il nostro incontro, mentre guardava i monti di Nocera e di Gualdo, dal Casone.

Francesca Tuscano

Francesca Tuscano laureata in Russo, Italianistica e Lingua e Cultura Italiana. Ha scritto di letteratura, teatro, cinema e musica russi. Lavora come catalogatrice di fondi musicali, traduttrice dal russo, librettista.

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