e il buon consiglio al tordo
Tra le sette paia di uccelli puri che Noè accolse nell’arca c’era anche una coppia di merli dal bianco piumaggio. Molto si compiacevano della propria eleganza e a dir poco esuberante era il loro carattere. Lo stesso Dante, giunto in Purgatorio nel girone degli Invidiosi, ritiene così ardito il comportamento di Sapia da paragonarlo a “come fé il merlo per poca bonaccia”. Avvenne infatti che il vanitoso pennuto, illuso dal solicello di fine gennaio, lasciò il proprio nido per volare libero nel cielo e farsi ammirare. Improvvisa sopraggiunse una bufera di vento e neve, tale da costringere l’uccello a trovare rifugio nel comignolo di un camino dove rimase per ben tre giorni. Quando uscì il primo giorno di febbraio, le candide penne erano divenute completamente nere a causa del fumo e della fuliggine. Siffatte rimasero per sommo volere e ogni merlo ne ebbe a patire. Fu una divina lezione che ricondusse a ragione tanta passata spavalderia. Oggi il merlo è prudente, si muove con circospezione e, memore della propria esperienza, dispensa saggi consigli a chi vorrà farne tesoro. L’odierna mitezza impone altresì rassegnazione al cospetto di chi non vuole ascoltare; verrà anche il suo tempo, che “come disse la merla al tordo: sentiré la botta si n se’ sordo”.