25 Maggio 2023

Hai mai odiato qualcuno?

Redazione Assisi Mia
Hai mai odiato qualcuno?

Conosco bene la pesantezza di questa domanda, cupo sordo sentimento sempre presente in te e difficile da poter nascondere, specialmente quando riguarda qualcuno della propria famiglia.

La mia famiglia ha un cognome antico in Assisi, da oltre 400 anni trascritto in un libretto pergamenato, sempre con gli stessi nomi oltre allo stesso cognome. Ogni nome si ripete da padre e figlio, e parenti vicini quando per cause naturali o tragiche il nome viene a trovarsi libero di appartenenza fisica ancora vivente. La lapide della tomba Rinaldi al cimitero è infatti un ripetersi di nomi di altri vissuti e trapassati.

Dunque non si butta via nulla, per affetto o dovere familiare.

Poi muore qualcuno: lo zio Vittorio, nato il 25 maggio 1913, che ha fatto piangere dolorosamente e a lungo, anzi per anni e anni, e dunque dovrebbe essere cancellato il suo nome dalla lista. Ma non è così: mio cugino, figlio dello zio Luigi detto Gigetto, nasce a giugno 1944 e dunque si deve battezzare Vittorio, come il Vittorio morto il 6 dicembre 1939. Io nasco due mesi dopo mio cugino, ad agosto, e mi danno il nome di mio nonno Umberto, morto poco prima.

La mia famiglia paterna risiede a Borgo Aretino, al numero 31, una casa ben fornita di camere e spazi verdi acquistata ad inizio ‘900 dai miei nonni Eleonora e Umberto, eredi di storie personali da romanzo ottocentesco. Mettono al mondo cinque figli: Angela detta Gabriella o Lella, Clorinda detta Linda, Antonio (mio padre) col nome del nonno, ma detto Toto, Luigi detto Gigetto, Vittorio detto Vittorio e ultimo nato.

Il lavoro familiare è quello di fabbri, specializzati nel ferro battuto, nella bottega sottostante la casa in Via Borgo Aretino 31.

Oltre al lavoro martello-incudine-fucina la bottega è anche centro di incontri sociali argomentati in dialetto stretto assisano, e oggi diremmo organizzata secondo categorie di operai manovali tuttofacenti. Il lavoro è giornaliero, solo eccezionalmente di produzione semiartistica ordinata da qualcuno di classe sociale elevata.

Dunque? La bottega è meta di incontri anche politici in sottovoce, considerato il periodo e cioè gli anni ’30. Si sa in verità ovunque come la pensano i Rinaldi e il giro di persone che vengono da loro a chiacchierare a bottega fra una martellata e l’altra. Uno assisano, degno di rispetto culturale, è Artaserse Angeli, padre di Maceo e nonno di Ginevra. Io e lei, noi due successori, ci sposeremo nel 1973.

***

La mia infanzia a casa di mia nonna Eleonora era un continuo assistere al pianto per la morte di Vittorio. Nonna, seduta al pianerottolo della finestra che guardava la strada, apriva il libretto di preghiere fitto di immaginette sacre, prendeva la corona, mi faceva il cenno di tacere e stare fermo lì vicino seduto, e incominciava a mormorare preghiere su preghiere. Lei le chiamava le orazioni, ma era un lungo rosario. Più sotto rispetto a lei, a lavoro con il ricamo francescano, sedeva Linda che non faceva altro che mormorare e balbettare continuamente con soffocato dolore qualcosa che io non capivo, se non alcune frasi scombinate: …quello che j’hanno fatto… le botte le botte le botte…ch’eva fatto de male?… la bandiera!… ‘sti assassini fascisti… nun ce l’hanno ardato… è artonnato coi polmoni rotti pe fallo morì… Maledetti… Assassini…

Crescendo, un poco alla volta si è riordinato il tutto: il 22 maggio 1937 Vittorio a 24 anni aveva, con due amici più giovani apprendisti in bottega, Balducci Guerrino anni 21 e Baldelli Ettore anni 18, seguendo il disegno che Artaserse aveva disegnato col gesso sull’incudine, costruito una bandiera (in verità poco più che uno straccio da loro tinto di rosso) e riprodotto i simboli del lavoro. Di notte l’avevano issata sulla torretta sotto casa in via Mojano. La mattina dopo erano stati tutti e tre arrestati e condotti al carcere di Perugia. Interrogati e torturati con percosse di ballette di sabbia e subito condannati, senza alcun processo. Vittorio 4 anni di confino a Latronico in Basilicata e gli altri due amici si seppe che erano morti perché uno fuggendo era finito sotto il treno e l’altro si era impiccato in carcere. Così disse chi aveva allora il potere di raccontare come verità. L’avvenimento venne ripreso dai giornali e pubblicato anche in pagina nazionale.

Vittorio partì per Latronico (Basilicata), ma vi rimase solo un anno perché gravemente malato ai polmoni (il padre si fece scrivere una supplica colma di innocenza per il figlio e non per i due giovani ormai morti. Una supplica che sa tanto di oculata falsità da colui che l’ha scritta…). Dopo un anno di confino Vittorio tornò malato a casa dove finì i suoi giorni a letto e senza cure allora efficaci. Morì il 6 dicembre 1939.

Questa è la storia di Vittorio che io ho subìto per decenni raccontata a tratti dalle zie e poco da nonna. Mi parlava di più l’odore acre di disinfettanti dell’armadio e della casa…

***

Mi ha tormentato Vittorio, per decenni, a causa quel gesto bambinesco della bandiera o dello straccio tinto di rosso. Mi ha tormentato l’essere additati con eloquente silenzio da assisani che sapevano, senza sapere altra verità se non quel gesto inutile e dannoso a sé e alla sua famiglia, la quale pagò dolorosamente dalla sua morte in poi. I miei nonni li potevo immaginare, la notte sotto casa, a camminare avanti e indietro e piangere il loro Vittorio, e le mie zie rimaste nubili tormentarsi come per un figlio ammazzato. Ed io, crescendo in età ed altra esperienza di vita, sempre più condannavo in me l’atto stupido di Vittorio che invece di una ragazzata, come diremmo oggi, aveva provocato una tragedia a sé ai suoi due amici ai suoi famigliari.

E a me che avrei voluto chiamarmi con altro cognome!

In silenzio odiavo Vittorio!

Infine la verità, circa una trentina d’anni fa: mia zia Lella ormai inferma a letto quando puzzavano ancora quei mobili di casa, durante una visita insieme a mia moglie Ginevra, seduti di fronte a lei che piangeva ancora Vittorio, si alza in piedi e con il braccio alzato:

“Perché lui  sapeva che ci saremmo vendicati! Avevo anche una pistola…!!!

Invece sul letto di morte, ci ha radunati noi intorno e ha chiesto di giurare di PERDONARE tutti!!!”

Improvvisamente, grazie a mia zia Lella, m’è crollato quel muro di odio che da bambino m’ero costruito con le lacrime dei miei famigliari. Mio zio Vittorio Rinaldi, nel lontano maggio 1937, aveva reso manifesto il suo animo assisano pacifista francescano. Un giovane, alla vigilia dello scoppio di ogni barbarie e violenza, ha ubbidito al suo animo di dover manifestare in Assisi un innocente simbolo di pace con un pubblico NO. E pagando poi con la propria vita il perdonare tutti coloro che avevano condannato lui e i suoi giovani amici alla morte.

Non tanto tempo fa io e Ginevra siamo passati a Latronico, oggi paese ameno. Volevamo informarci in loco, magari parlare con qualcuno testimone di Vittorio. Ma confesso che dopo qualche ora mi sono sentito male e disposto a ripartire. Mi rimane, muta testimone, la pesante valigia di pelle marrone che l’ha accompagnato a Latronico, andata e ritorno. Di lui, concreto, nient’altro.

Quando per me si avvicinerà il momento di poter incontrare Vittorio potrò ringraziarlo della sua innocente azione di libertà. Gli chiederò di perdonare anche me, per averlo ingiustamente odiato!

Umberto Rinaldi

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