«Ma io, pur con le mie generose scollature, ero solo il suo cane-guida perché lei, rigorosa, si toglieva gli occhiali, diventando praticamente cieca, ma finiva sempre per rubarmi la scena perché lei era Mariola e io no».
Emerge dalle parole della figlia Donata il profilo di una donna caparbia, incline alla vita tra teatri e concerti, alle arti, allo studio: seguiva i suoi obiettivi con diligenza e inflessibilità che mal celava dietro lo sguardo occhialuto di chi è insegnante per vocazione prima ancora che per mestiere. Mariantonia Cernetti (Assisi, 25/05/1912 – 19/02/1975), per tutti Mariola, è la terzogenita, dopo Marietta e Francesco, di Francesca Cristofani e Camillo Cernetti. La madre, figlia dello storico Antonio, introdotta negli ambienti letterari che respirava Assisi nel primo ventennio del XX secolo, mantenne rapporti di amicizia, di cui si custodisce la corrispondenza, con Ada Negri, Grazia Deledda e Gabriele D’Annunzio. Le frequentazioni materne guidarono la scelta della sua carriera scolastica: frequentò il Liceo Classico per poi trasferirsi a Roma concludendo gli studi in Lettere Antiche. Convintamente fascista, arrivò giovanissima al grado di Tenente colonnello della G.I.L. Divenne figura di spicco nella società assisana; con il suo abbigliamento à la page e le mani intente a scartabellare sempre l’ultimo pacchetto di sigarette, non difficilmente la si trovava a frequentare villa Perkins o a discorrere con il dirimpettaio delle “case nove” Armando Trovajoli. Fu madre di Donata e Francesca oltre che di una larghissima prole di studenti che dagli anni ’30 allevò all’avviamento professionale e poi come docente di Lettere alla media. In famiglia è ricordata di carattere austero, che colmava però con un’educazione raffinata in musica e materie umanistiche: una cultura come strumento di nobilitazione spirituale più che come mero raggiungimento sociale. Per sinestesia in lei si sposava un’ascendenza politica reazionaria con l’immagine di donna ribelle, dai capelli sempre corti, una proto femminista capace di mettere agli arresti il marito dopo una lite. Che non sia da meno l’annovero sulla luce data al sogno di Primavera. Era il 1952 quando la cucina di palazzo Cristofani partorì l’idea di dividere la città in due parti per cantare il Maggio: Maceo, il professor Maresca, Bruno Zucchi e Mariola, sotto l’egida di un recalcitrante, almeno in principio, Arnaldo Fortini, posero la prima pietra dell’odierno Calendimaggio. Nel 1956, per un’equa distribuzione di personaggi fondativi, Mariola venne “concessa” alla Nobilissima, assumendone il ruolo di guida organizzativa e intellettuale. È in vocabolo Santa Nocita, oggi via San Benedetto, che generazioni di scrittori di scene, bandi e cortei entravano umili a far revisionare i testi al più ancestrale e autoritario volto di Parte che con fare cattedratico depennava o suggeriva. All’uscita, le facce deluse o sorridenti delle ancora inesperte penne tradivano il responso avuto nell’antro della sibilla.