«Lo diciamo a Trento!» che, con il suo negozio di souvenir-tipografia affacciato su Santa Chiara, era un riferimento topografico e sociale. Se c’era da creare un brogliaccio per i conti di un’associazione, se si doveva raccogliere una somma per un’iniziativa cittadina, una festa, una gita, la squadra di calcio o per beneficenza, Trento era lì. Era il ‘Massaro’ per antonomasia della Parte de Sopra: teneva i conti e, lesinando sulle concessioni, garantiva la sopravvivenza del Gioco. Un fine economista paesano dall’onestà adamantina, antica; inflessibile con l’altrui e generoso con il suo.
Ma Trento Brizi era molto di più, ancor prima che fosse celebrato con il padre Luigi e altri di Assisi per aver contribuito a salvare tanti ebrei, realizzando loro documenti falsi e meritando un albero come Giusto in Israele. Si ergeva modesto, sintetico e ironico ammaestratore sulla storia della città, sugli eventi che erano depositati nella sua memoria, sui modi da tenere nei rapporti umani. L’andirivieni nel suo laboratorio era sempre improntato a ottenere qualcosa, non necessariamente materiale, ma utile per la vita quotidiana: una sapienza in più, un consiglio politico (la sua fede di comunista senza tessera conviveva serenamente con quella cattolica, una sorta di intimo compromesso storico), un’indiscrezione, un ritratto umano.
Un iracondo che non giungeva alla violenza se non verbale o tutt’al più di qualche scappellotto correttivo, da padre senza figli e con una fittissima prole, per i giovani inadempienti ai dettami del suo verbo. Irascibilità che giustificava come contraltare alla calma di quando doveva comporre con caratteri minuscoli e inafferrabili le sue pagine tipografiche.
Si favoleggiava che lui, appassionato della festa e partaiolo accanito, non avesse mai visto il Calendimaggio, ma preferisse passare il tempo della competizione a bottega, distribuendo perle di brusca saggezza, o in taverna, a far quadrare i conti. Di certo si sa che non ha mai indossato un costume medievale da sfoggiare in piazza. Salvo quando interpretò il ruolo del papa in un’edizione in cui la Parte de Sopra fece il Calendimaggio da sola.
Rimasto celibe, era considerato scherzosamente il miglior partito assisano; incantato dalla bellezza femminile, non lo nascondeva, continuando a esprimere il suo gradimento, anche in maniera colorita, fino a età avanzata, ma senza rinunciare alla sua libertà.
La città lo ha perso presto. Aveva 77 anni quando nel 1992 se n’è andato tra il cordoglio unanime, quello degli appartenenti alla Parte avversa, come quello degli avversari politici, perché – al di là della notorietà per il suo generoso coraggio durante l’Occupazione – tutti sapevano chi fosse, tutti lo conoscevano, non solo i dirigenti, gli appassionati, i giocatori della squadra di calcio, i partaioli di Parte de Sopra, i soci del Circolo Arci (prima ancora del CRAL) che aveva contribuito a fondare e amministrava, gli occasionali o permanenti beneficati da lui, magari senza saperlo.