«Erano vissuti da scapigliati; erano morti da eroi. Da certi uomini gravi furono chiamati assassini», dice Cletto Arrighi dei protagonisti del suo La scapigliatura e il 6 febbrajo. Personaggi immaginari, ma esemplati su giovani milanesi reali, «pieni d’ingegno quasi sempre; più avanzati del loro tempo; indipendenti come l’aquila delle Alpi»: quelli che nel Carnevale 1853 il quarantenne assisano Eugenio Brizi, comandante repubblicano, coinvolse in un moto per cacciare gli Austriaci da Milano. Fu un disastro, imputato da Brizi alla trasgressione degli ordini da parte di patrioti troppo indipendenti, ma da attribuire anche al poco sostegno borghese, con artigiani e operai lasciati agire senza armi e protezione: che almeno Brizi ebbe, celandosi in una Milano messa da Radetzky in stato d’assedio e poi scappando per raggiungere Mazzini in Svizzera.
L’audace Eugenio era nato ad Assisi nel 1812 dall’architetto Angelo di Giuseppe, nell’entourage di Valadier. Iscritto alla Giovine Italia, aveva avuto la prova del fuoco nella I guerra d’indipendenza, da ufficiale della guardia pontificia e agli ordini del conterraneo umbro Luigi Pianciani. Aveva pugnato con merito per la libertà di Venezia e contribuito ai vani tentativi di salvare dall’invasione austriaca Bologna e Ancona. Alla caduta della Repubblica romana, Garibaldi aveva ordinato al «caro Brizi» la resa, per riservarlo a migliori occasioni. Eugenio era passato ad Assisi dai suoi e, ricongiuntosi a Pianciani, era andato in esilio in Francia e poi a Londra, dove erano Mazzini e Saffi che, a questo punto, lo avevano inviato a riorganizzare il movimento insurrezionale lombardo.
Nonostante il fallimento milanese, Mazzini affidò a Brizi il compito di ricomporre il gruppo di Roma. Ma qui il nostro fu arrestato per una delazione e condannato a 20 anni. Ne fece 9, fino al 1862, ché Luigi Pianciani, tramite Girolamo Bonaparte e complice il guardasigilli spoletino mons. Pila, gli procurò la grazia. C’era ormai il Regno d’Italia: Brizi si presentò ai vertici militari per essere integrato nell’esercito con il grado di maggiore tenuto in guerra. Poiché gli si volle riconoscere al massimo quello di capitano, rinunciò alle mostrine e, sempre con Pianciani, si dette all’Agricoltura. Il suo sdegno gli negò forse onori politici che ex compagni di lotta conseguirono: Bixio, Cairoli, Depretis, Visconti Venosta. Ma almeno, come l’amico Pianciani fu sindaco due volte a Roma, Brizi poté esserlo due volte ad Assisi, nel 1880-85 e per 15 mesi tra il ’90 e il ’91, prima di morire nel 1894.
Roma ha dedicato a Pianciani una via dell’Esquilino, Assisi ha dedicato a Brizi soltanto un troncone di via, che prosegue con un altro intitolato – irriconoscenza ancor più grande – a Giotto.