01 Settembre 2025

Blixa Bargeld, Mauro Teho Teardo

Dionisio Capuano
Blixa Bargeld, Mauro Teho Teardo

“L’arte esiste perché la realtà non è né reale né significativa.” G. Ballard

 

Odio l’estate (non è vero). Ne parleremo più avanti (questo inverno).

Era il 20 novembre 2024. C’erano un berlinese, del ’59 e un friulano, del ’66. Il loro sodalizio artistico prende avvio nel 2013 ma le loro carriere artistiche iniziano ben prima e s’inscrivono nello stesso, pur variegato, milieu, quello della cosiddetta musica post-industriale. Il gruppo di Blixa Bargeld (all’anagrafe Christian Emmerich) è tra i più rappresentativi di questa scena e la sua evoluzione è pure specchio dei tempi e dei cambiamenti culturali degli ultimi quarantacinque anni.

Già nel nome, gli Einsturzende Neubaten (cadenti nuovi edifici, traduzione bruttina ma che restituisce il senso più di nuovi edifici che crollano) evocano l’immaginario della Germania del dopo-guerra, la “brutta estetica” della nuova urbanistica della ricostruzione. La musica, soprattutto quella del primo periodo, diciamo i primi cinque album (1981 – Kollaps, 1983 – Zeichnungen des Patienten O. T., 1985 – Halber Mensch, 1987 – Fünf auf der nach oben offenen Richterskala, 1989 – Haus Der Lüge), accoglie e raccoglie echi dell’alienazione industriale in una forma cruenta ma nient’affatto grezza, vicina alle cupezze espressioniste e alle forme più radicali della musica contemporanea.

Teardo, invece, inizia la sua produzione discografica nell’85 con The Birth of the Day che gradatamente si ramifica tra lavori da solista e collaborazioni internazionali, sovente a distanza. Nel corso di una ventina di anni si va a definire un’estetica multidisciplinare che taglia trasversalmente trasgressive visioni dell’apocalisse, estremismi cupi e problematici, per giungere ad una sintesi poetica che vede in curriculum, tra le altre molte cose, la colonna sonora del “Divo” di Sorrentino e il progetto “Viaggio al Termine della Notte” con Elio Germano, che ha fatto tappa più di una volta in terre umbre.

Anche gli EN e Bargeld hanno avuto modo di consolidare la loro provocatoria irruenza trasformando l’attitudine punk un po’ épater le bourgeois in un sistema di pensiero più complesso ed una musica apparentemente meno aggressiva e d’impatto ma di struttura che tiene dentro tutte le tensioni della gioventù. Perché i tempi odierni sono diversi, più “puliti” dei primi 80’, ma ugualmente (più) violenti. E, ad esempio, Die Wellen che sta su “Alles Wieder Offen” (2019) non è meno terribile di “Negative Nein”. Non vi assale, vi striscia dentro.

Come accade agli intellettuali che lo sono senza necessità di farlo, i due rileggono l’evoluzione delle arti e compongono canzoni che sorprendono per clarità (ci piace l’arcaismo) formale, densità tematica, risonanze e ascendenze e che mostrano come la creatività sanguina, o rilascia umori, o non è. Basta la lo copertina di “Haus Der Lüge” che decontestualizza un particolare particolare da “Stallone con giumenta scalciante e cavalli selvaggi” di Hans Baldung (1534), per ricordarci che il disturbante ed il perturbante non hanno età o epoca.

I loro tre album in studio “Still Smiling” (2013), “Nerissimo” (2016) e “Christian & Mauro” (2024) sono un buon canzoniere per questi tempi terribili visti a distanza teatrale, con l’aplomb di un cabaret “barockeggiante” e portati in scena con Teardo apparentemente defilato ma essenziale e Bargeld mattatore affabulante. La giacca ottocentesca con impunture brillucicanti e la lieve zoppia hanno fatto tutto molto decadente, perfetta l’ambientazione di San Francesco al Prato, (che noi vediamo ancora scoperchiata, perché ci sentiamo, oggi più che mai, come il tetto di una chiesa… bombardata), un vecchio edificio ricostruito. Una inversione sinestetica del “concept EN”.

E se la voce poteva essere incerta e spezzata, l’intensità no, quella era integra. Un rosario laico che ha suonato crepuscolare e decadente (mai decaduto) come solo il miglior barocco può fare. La Passacaglia della Vita – Bisogna Morire di Stefano Landi come sigillo, adeguatamente corrotto, ad un repertorio da mondo della fine (che non finisce mai), con dolente misericordia ma senza alcuna lacrimosa consolazione (salvo fraintendimenti) e con quel margine di inquieto arcano.

Inquietudine che si nasconde dentro, anzi fuori, What if… Il video, diretto da Michele Baggio ed Enrico Zanetti, girato a New York, (abbiamo in mente a loop ancora immagini di cadenti nuovi edifici), sembra moltiplicare i riferimenti (l’ispirazione alla bambina con il palloncino di Banksy) e le ambigue evidenze di interrogativi disegnati in altrui aldilà: E se in Paradiso non ci fossero houri ad attenderti? E se nessuno là fosse adagiato su cuscini di gemme, faccia a faccia? E se tutto ciò che ti fosse dato fosse vino, solo vino – ma meraviglioso Non serve che tu porti quella cintura. Non serve che tu impari a volare. È tutto solo un errore, un errore di traduzione.

 

“Se occorresse riassumere in una sola parola lo stato mentale del nostro tempo, senza dubbio sceglierei questa: amarezza.”Michel Houellebecq

 

 

Dionisio Capuano

È project designer e manager in ambito formativo e culturale. Collabora con la rivista Blow Up e tenta, senza successo, di mettere ordine nelle sue passioni per le varie forme dell'arte. Oggetto di studio in un recente saggio sulla critica musicale, ha pubblicato più di ottanta recensioni su dischi inesistenti ed è coautore di un album di musica elettroacustica.

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