08 Aprile 2024

Gianfranco De Franco

Dionisio Capuano
Gianfranco De Franco

“Le utopie consolano; se infatti non hanno luogo reale si schiudono tuttavia in uno spazio meraviglioso e liscio; aprono città dai vasti viali, giardini ben piantati, paesi facili anche se il loro accesso è chimerico.” [Michel Foucault – Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane]

…e mentre il Italia si stringe(va) il giro di vite sui pellari dei rave (uno dei primi atti “simbolici” del governo) a Berlino si procedeva a consacrare la scena techno come patrimonio immateriale dell’Umanità (pensate alla specificazione, “dell’umanità”), roba ufficializzata da meno di un mese. Lì per lì: che bello. In realtà le due decisioni, che paiono antagoniste, sono frutto di similari politiche di ordine & gentrificazione. Basta andarsi a leggere i motivi del provvedimento preso dalla parrocchietta crucca dell’Unesco, santificazione tutta locale.

Ma qui ad Assisi che ce ne cale? Siamo già tutti consustanziali ad un materialissimo ed ultra-validato patrimonio. Una cosa quasi soffocante, di cui sarebbe il caso di scordarsi, ogni tanto. Ora, senza neanche demonizzare troppo la santità, riprendiamo – dopo varie settimane – il nostro debordante andar alla deriva per sentieri sonanti, riannodando memorie di fine, finissima estate, fatta di sere straordinariamente miti e miti frementi di poesia.  L’Assisi Città di Poeti ci viene qui da farla patrimonio personale della nostra residua umanità

Gianfranco De Franco è il nostro filo, il pre-testo.

Artista di ingegno multiforme ha un legame molto forte con Assisi, incarnato nelle collaborazioni con il Teatro degli Instabili. Attività multiforme la sua, in cui la musica sembra quasi un eccipiente (ovviamente non è vero). L’aspetto performativo, la multidisciplinarietà, le sinestesie delle sue creazioni oltrepassano il mero ascolto. Wunderkammer da esplorare come cassetti della memoria, carillon psichedelici che si aprono ed attivano fantasticherie o di/vagazioni emozionali.

Uomo delle stelle, astronauta sonico nel gennaio del 2022 quando presentò “Stellar Sunset”, iridescente affresco dove abbiamo visto (sic!) rifratti e conglomerati, in una sorta di ologramma-mosaico siderale, qualche decennio di elettronica ibrida, in particolare quella dove s’incontrano strumenti a fiato e tecnologie varie. Ma per quanto fate morgane siano apparse all’orizzonte (Tuxedomoon…) il mélange e le speziature rimangono uniche. Con pregi e difetti, che difetti non sono, soltanto discrasie tra quanto noi vorremmo e quanto l’artista insindacabilmente decide di fare.

Poi succede, alle volte, che tutto si allinei. Il desiderio di sentire l’essenziale. Arrivare là dove non c’è nessuna memoria a disturbare, dove il luccichio dell’arrangiamento si quieta in una densità monocroma e trasparente che possiamo fare nostra. Il suono non fumiga intossicazioni ma è presenza tanto più forte quanto più silente.

Lo conoscevamo già come tessitore di trame sonore per spettacoli teatrali ed installazioni, ma vivere un’esperienza immersiva è ben altra cosa. È quel settembre scorso, lento declivio, scendere nella memoria (poetica) di Assisi, nell’universo parallelo di “Città di Poeti”, catabasi nella sera che si fa notte. Meta-tempo di apparizioni, insieme e soli, ognuno con la propria cuffia. Da quelle finestre sonore (orecchio-occhio della mente) assolutamente personali (eppure comuni) arrivavano voci. Diventavano subito immagini. Giusto un attimo prima suono, fuso con l’altro suono “ambientale”, il rumore di fondo dell’inconscio collettivo, intessuto da De Franco insieme a Nicola Fumo Frattegiani.  E vorremmo (ri)ascoltarlo; nudo e assoluto.

Una presenza discreta (la “discreet music” di Brian Eno), potresti accorgerti semmai della sua assenza. Nel farsi del cammino crepuscolare (che avrebbe portato a Ti Ho Incontrato di Alan Sorrenti) è diventata sempre più (im)portante, colonna sonora, in questo senso. Forse abbiamo sentito De Franco quella sera, per la prima volta.

“Le eterotopie inquietano, senz’altro perché minano segretamente il linguaggio, perché vietano di nominare questo e quello, perché spezzano e aggrovigliano i luoghi comuni, perché devastano anzi tempo la «sintassi» e non soltanto quella che costruisce le frasi, ma quella meno manifesta che fa «tenere insieme» le parole e le cose” [Michel Foucault – Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane]

Dionisio Capuano

È project designer e manager in ambito formativo e culturale. Collabora con la rivista Blow Up e tenta, senza successo, di mettere ordine nelle sue passioni per le varie forme dell'arte. Oggetto di studio in un recente saggio sulla critica musicale, ha pubblicato più di ottanta recensioni su dischi inesistenti ed è coautore di un album di musica elettroacustica.

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