18 Maggio 2023

Alla ricerca di Vittorio

Francesco Lampone
Alla ricerca di Vittorio

Vittorio, appunto. Si è già detto della sua giovane età al tempo della morte, ancora più giovane all’epoca del fatto accennato: ventiquattro anni che, se ai nostri tempi possono tranquillamente corrispondere ancora a un’adolescenzialità iperdilatata tra erasmus e spritz, all’epoca erano pacificamente l’età di un giovane adulto. Qualcuno cioè che si è lasciato dietro le spalle il fardello del servizio militare e da cui ci si attende che lavori, risparmi, abbia la testa sulle spalle e metta su presto casa e famiglia.

Cominciamo allora con il dire che un buon lavoro Vittorio lo ha già, ed è quello di fabbro nell’officina di famiglia, a Borgo Aretino. Se la cava più che bene, ed è suo padre Umberto a scriverlo di suo pugno in un’accorata, commovente supplica datata 8 febbraio 1938 e volta alla revoca del confino: “Mio figlio è stato ottimo, fedele, onorato soldato di artiglieria, e se ne può giustamente vantare come se ne vanta, e tale non ebbe mai punizioni o rimproveri (4° regg.to Art. d’Armata – Piacenza); è sempre stato eccellente, ottimo e tranquillo artigiano, buon figliolo e buon lavoratore, tantoché un lavoro in ferro battuto a lui affidato ora trovasi incompiuto, non essendovi altri in grado di farlo, per la chiesa di san Giuseppe in Assisi”. Torneremo oltre su questo testo, ma va intanto chiarito che, anche al netto della comprensibile enfasi paterna, le conferme incrociate non mancano: “Dedito al lavoro”, si rinviene nel rapporto di polizia dell’11 marzo 1938; ma già nella scheda di questura del 9 giugno 1938 si leggeva che Vittorio, “nei giorni lavorativi, soleva fare casa e bottega. Lavorava da fabbro nella bottega del padre, dimostrandosi attaccato e volenteroso al lavoro”. Insomma, tutto tranne un perdigiorno.

E della famiglia, cosa dicono i rapporti di polizia? “Famiglia di operai”, scrive il 26 maggio 1937 il Commissario aggiunto di Pubblica Sicurezza di Assisi, Billotta. Poco oltre, il 9 giugno 1938, leggiamo nella scheda di questura di Vittorio che “Appartiene a famiglia di operai, onesti lavoratori ma nessuno iscritto al P.N.F.” Si diffonde più estesamente il successore di Billotta, Alfieri, il quale così annota in un rapporto dell’11 marzo 1938: “Appartiene a famiglia i cui componenti in passato nutrirono sentimenti estremisti e che dopo l’avvento del fascismo non diedero nessuna prova tangibile di ravvedimento senza però fare opera contraria al Regime”. Insomma, Vittorio si posiziona male nel contesto storico in cui si trova a vivere, appartenendo a una famiglia tutt’altro che allineata, ma il fatto in sé non sarebbe grave e tantomeno decisivo: non si pretende da ciascuno di “credere, obbedire e combattere”, purché tutti indistintamente se ne stiano buoni e tranquilli. Vietato disturbare il manovratore.

È però tempo di cercare di raccontare qualcosa di meglio sul carattere di Vittorio, sulle sue inclinazioni, se possibile sul suo mondo interiore. Anche su questo versante la polizia fascista è, a suo modo naturalmente, utile fonte di informazioni. Il testo più generoso è la schedatura redatta il 9 giugno 1937, sintesi affidabile di voci raccolte e informatori solerti. Scopriamo qui che Vittorio “Era di buoni precedenti morali e senza precedenti pendenze penali (…) Non aveva amicizie sospette né vizi (…) Ha frequentato, a suo tempo la 3 elementare. È intelligente, ma di scarsa coltura. Di carattere misantropo e taciturno, non parlava che di caccia o di lavoro”. Altrove, e cioè nel rapporto del commissario Alfieri dell’11 maggio 1938, si racconta di un “tipo taciturno e poco amante delle compagnie”. Conferme si trovano nel primissimo rapporto di polizia su Vittorio, quello del 26 maggio 1937, nel quale si dà conto di un giovane “di buoni precedenti morali e politici, tanto vero che gli era stato concesso anche il permesso di portare il fucile per uso di caccia”. E solo conferme si rinvengono nell’ultimo documento utile, quello in cui il 13 aprile 1938 il Ministero dell’Interno trasmette al Prefetto di Perugia l’istanza (che purtroppo non ci è pervenuta) di revoca del confino, perché dietro la burocratica clausola di stile “Il richiedente durate la sua permanenza a Latronico non ha dato luogo a rilievi” si nasconde un impeccabile comportamento da parte di Vittorio nei duri mesi di confino. C’è infine di nuovo la lettera del padre, la supplica dell’8 febbraio 1938, che ci fa apprendere quale sia stata la reazione del figlio al momento dell’arresto e nell’immediato seguito: “non ha reagito né dato in escandescenze durante le fasi della triste vicenda, sempre dignitoso e tranquillo nella ingenua fiducia che sarebbe stato chiarito, nel tranquillo disprezzo della stolta accusa”.

Esisterebbe in verità anche un ultimo contributo alla definizione della personalità di Vittorio, di tradizione familiare e di estremo interesse, di cui si dirà però meglio più avanti perché appartiene allo spegnersi della sua esistenza. E poi qui sarebbe fuori luogo, perché non stiamo già esplorando l’uomo che Vittorio è diventato dopo la durissima esperienza dell’arresto e del confino, ma ancora il giovanotto che Vittorio era quando, il 21 maggio 1937, contribuiva a far sì che una bandiera comunista garrisse insolentemente sulle mura di Assisi. Esplorazione difficile non solo per noi, quasi cento anni dopo, ma anche per gli esperti inquisitori di allora, gente del mestiere, questurini, che però (estesamente o succintamente, fra le righe o esplicitamente) sembrano a ogni pié sospinto chiedersi: ma come ha fatto un tipo così a ritrovarsi in un guaio simile?

Francesco Lampone

Lavora come responsabile dell’Area Legale e Relazioni Internazionali dell’Università per Stranieri di Perugia. Si occupa occasionalmente, per passione, della storia di Assisi. Ha pubblicato per le edizioni Assisi Mia, in collaborazione con Maria Luisa Pacelli, il volume: Assisi: un viaggio letterario, dove si esplora l’identità cittadina attraverso lo sguardo di cento visitatori illustri.

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