La zizzania è una pianta, ma anche un atteggiamento da cui gli assisani non sono esenti, nonostante la terza S cittadina, Santi.
Che soffi il tiepido zefiro primaverile o la ghiacciata tramontana che spira da nord, non ha importanza: la zizzania fiorisce col (e nel) Calendimaggio. Spiga tra settembre e ottobre, sboccia tra aprile e maggio. In barba ad ogni regola botanica codificata spunta tra una pietra e l’altra per tutto l’anno; da noi è una pianta sempreverde.
Come la musica, il canto, la recitazione e la ricerca storica, la zizzania meriterebbe di essere uno tra gli elementi di giudizio che concorrono alla conquista del Palio.
Parte essenziale dell’assisanità calendimaggesca, la zizzania va a braccetto col pettegolezzo. Si diffonde con l’endemico chiacchiericcio di un borgo in posizione elevata, vegliato da un monte e protetto da una cinta muraria.
Il tiepido zefiro primaverile o la ghiacciata tramontana si incuneano tra i vicoli stretti e fanno sibilare la voce della zizzania, che sussurra parole dette ad arte, ma anche non dette; parole sentite o che sembra di aver udito, un canto di Sirene a cui ben poco serve assicurarsi a un albero maestro.
Pianta, atteggiamento, sibilo, canto di Sirene o semplicemente vescia, la zizzania è comunque radicata nel pensare (e agire) di Calendimaggio, che esso si faccia o si farà. O non si faccia.
note etimologiche di Carla Gambacorta
Zizzania, voce dotta da zizaniam, plurale di zizanium (greco zizánion), è una di quelle parole che si devono al latino cristiano, e precisamente alla parabola evangelica del seminatore che «superseminavit zizania in medio tritici», corruppe cioè il grano con quest’erba infestante. Il loglio. Questa voce – da noi più frequente nella forma zinzania – è d’uso comune in senso metaforico, e indica discordia, lite, inimicizia (che vengono seminate), in relazione alle proprietà insite nella stessa pianta. Così infatti la rappresenta un noto scrittore di agricoltura del ’300, Pier de’ Crescenzi: «Il loglio ovvero zizzania nasce tra ’l grano ne’ secchi tempi, ed ha virtù acuta e velenosa, ed oppia la mente e perturbala ed inebbria».
L’ascolto musicale
a cura di Giulia Testi
Vecchie letrose, Adrian Villaert