10 Maggio 2020

Urlo

Paolo Petrozzi
Urlo

Urlare sta al Calendimaggio come cantare sta al Festival di Sanremo. Urlano tutti, con diverse motivazioni, ma urlano tutti.
Urlano i vecchi calendimaggiari: intendono con ciò far capire chi comanda. Un ordine urlato con la voce arrochita dalla fatica è un sottofondo musicale consueto nell’atto di costruire le Scene. Sono urla di riconoscimento alla carriera.
Urlano molti sedicenti attori che pensano di attenuare le proprie manchevolezze aumentando (di molto) il numero dei decibel. Inutile dire che il risultato finale non muta. Sono urla per fare di necessità virtù.
Urlano i registi, impegnati nel titanico sforzo di mettere insieme gruppi di partaioli che dovranno interpretare improbabili personaggi, raccontati in una strana lingua mista tra dialetto e italiano volgare. Sono urla di tipo educativo.
Urlano tutti alla cena propiziatoria che si consuma prima dell’inizio della festa. In questo caso l’alcool è, di sicuro, l’elemento scatenante che determina il livello sonoro della situazione. Si mangia (poco), si beve (molto), si urla. Urla apotropaiche e, appunto, propiziatorie. Anche se, forse, andrebbero definite solamente etiliche.
Urlano i partaioli dalla tribuna durante il bando di sfida. In questo caso avremo due tipi di urla: intimidatorie quando esegue la parte avversa e apprezzanti quando esegue la propria. Sono urla da stadio.
E infine, a notte fonda, ecco la piazza gremita. Da un lato i partaioli della Magnifica, dall’altro, divisi da un’immaginaria linea di confine, quelli della Nobilissima. Il Maestro de Campo, circondato, sballottato, incalzato proclama con la solita interminabile formula il vincitore. Una parte della piazza ammutolisce, l’altra esplode in un fragoroso, lunghissimo, liberatorio urlo. È l’urlo degli urli. Che quest’anno, purtroppo, non ci sarà.

note etimologiche di Carla Gambacorta

Urlo proviene da urlare, a sua volta dall’onomatopeico verbo latino ululare per dissimilazione (ululare > urulare > urlare), che suggerisce l’urlo lungo e acuto del lupo (e anche di altri animali), e che poi estensivamente è passato a indicare anche un grido umano. Lo usa Dante nel girone dei golosi, quando Cerbero latra con le sue tre fauci sui dannati flagellati dalla pioggia: «Urlar li fa la pioggia come cani; / de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo; / volgonsi spesso i miseri profani». Una curiosità: urlo è una di quelle parole che hanno due plurali; uno femminile, le urla, riferito agli uomini, e uno maschile, gli urli, riferito invece agli animali e anche agli uomini se si tratta però di urli, per così dire, “singoli”.

L’ascolto musicale
a cura di Giulia Testi

La Guerre, di Clément Janequin
Coro Magnifica Parte de Sotto

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