La pandemia, come ogni situazione estrema, ci ha imposto la selezione delle priorità, ci ha richiesto di separare le cose veramente indispensabili da quelle che potevamo invece in quelle condizioni considerare superflue. Una rimodulazione necessaria che ha riguardato prima di tutto la nostra sfera privata. Abbiamo ridotto entro confini minimi la soglia dei nostri consumi cercando di leggere questa forzata astinenza come una promessa di una vita futura più frugale ed essenziale.
Mentre prima ci arrovellavamo per sfuggire alla noia cercando di scovare eventi e serate speciali improvvisamente una semplice passeggiata a Portanova ci è apparsa come una stimolante avventura. Una riduzione all’essenziale che ha riguardato anche la sfera pubblica, con uno stato che, nel decidere cosa tenere aperto e cosa no durante l’epidemia, ha fissato la gerarchia dei valori e degli interessi pubblici. E così ci siamo accorti che la scuola è scivolata nel territorio del superfluo. È stata valutata come una cosa utile, per carità, ed anche preziosa a suo modo, ma di una bellezza ornamentale e non comparabile con le attività economiche che producono reddito e che dovevano essere prioritariamente salvaguardate. E così anche nel centro storico di Assisi quel turbinio di voci dei bambini e dei loro genitori che animava la scuola di Sant’Antonio per lunghi mesi è stato ridotto al silenzio. Non valeva la pena rischiare il contagio per assicurare il diritto all’istruzione. Bastava ed avanzava la didattica a distanza, per chi poteva permettersela. Le relazioni tra bambini, quella fondamentale interazione con l’insegnante che nessun computer potrà mai sostituire, quel sentirsi, toccarsi, confidarsi. Quelle cose là ci siamo rassegnati a considerarle superflue.
Brevi note etimologiche a cura di Carla Gambacorta
Superfluo discende direttamente dal latino superfluus, derivato dal verbo superfluĕre dove il prefisso super-, applicato a fluĕre che significa ‘scorrere, fluire sopra’, e quindi anche ‘traboccare, straripare’, dà vita a una parola che indica qualcosa che è in eccesso, che sovrabbonda, che diviene inutile e non necessario, anche in senso figurato. Scrive Foscolo: «Non ci crediam noi più miseri allorché non possiamo ottenere una cosa superflua – e allorché la perdiamo – che il povero quando gli manca il pane che pur gli è indispensabile?».
Suggerimento musicale a cura di Simone Marcelli
Un villancico scritto da Juan del Encina nella seconda metà del ‘400, conservato a Madrid nel “Cancionero de Palacio”, ci narra delicatamente di bellezza, dello struggente amore per una donna bellissima e distante, un sentimento disperato perché non corrisposto.
Così come alla Musica, al Teatro, all’Arte, alla Cultura in questi lunghissimi mesi sono mancati l’amore, la considerazione, quanto meno l’attenzione necessari a non essere messi da parte, considerati superflui.
Ascolto: Senora de hermosura [Di corte in corte, Anonima Frottolisti, 2018], per gentile concessione della casa discografica Tactus – Juan del Encina