Ebbene, sì. Il Calendimaggio, come altre competizioni del genere, vive anche di offesa. Offesa che si esibisce in piazza dalla tribuna, solitaria o in gruppo, oppure all’interno delle trame dei cortei o, ancor meglio, nel bando, senza contare il teatro delle cene che adornano la preparazione della festa. L’offesa, al di fuori dei luoghi canonici, si è oggi tecnologizzata e sa navigare nei social, prima, durante e anche dopo. Certo, c’è offesa e offesa. In ogni edizione, nella tavolozza delle variegate offese, la più ricorrente è quella che alberga nei “tormentoni” stagionali e in quelli ciclici, oppure in quegli adagi divenuti ormai classici. È un’offesa che sa di essere generica, ma quasi necessaria alla festa, e danzando su ritmi medievali viaggia verso un mucchione di individui senza nomi assimilati da uno stemma. Talvolta ironica, se non sapesse di essere un’offesa riderebbe pure lei di sé stessa, anche se oggi questo tipo di offesa scade sempre più nel già edito, emigra dagli slogan calcistici e muta solo il soggetto o l’oggetto, colorandosi di banalità. Altro è invece l’offesa che, protetta dall’ideale ma corporeo abitacolo delle Parti, è sfogo sì, ma del tutto personale, di astio, rabbia, insoddisfazione, e la festa si rivela un sicuro pretesto per una vendetta privata, con vita breve però. Infatti, quel muro difensivo al di qua del quale tutto appare lecito, compresa l’offesa altrimenti inammissibile, crolla finita la finzione. E l’offesa non più protetta torna vigliaccamente a nascondersi in gola, meschina si ritrae in attesa di un nuovo appiglio per uscire. In ogni caso, in piazza quest’anno l’offesa non ha voce, e tace.
note etimologiche di Carla Gambacorta
Offesa discende dal latino offensam, formatosi da offensum, participio passato di offendere, composto dal prefisso ob– e dal tema verbale –fendere ‘urtare contro’, dalla radice indoeuropea fen/fend, che esprime il concetto di toccare di colpo. Da qui la voce significa essenzialmente ‘danno, insulto, oltraggio’, morale o materiale. Quanto alla derivazione dal latino, come in tutte le parole di tradizione popolare, il nesso latino -NS- (che rimane nei latinismi) si semplifica in una semplice –s-. L’offesa – si dice e si sa – andrebbe perdonata, anche se, stando a quanto scrive Boccaccio, non sembrerebbe facile: «Non sa quanto dolce cosa si sia la vendetta, né con quanto ardor si disideri, se non chi riceve l’offese».
L’ascolto musicale
a cura di Giulia Testi
Ostinato vo’ seguir – Anonima Frottolisti