Per l’assisanitudine il termine giuria trasfigura in un’entità superiore indefinita, una e trina; poco usato durante l’anno con la primavera diviene una parola chiave del Calendimaggio e la frequenza d’uso aumenta all’avvicinarsi della festa. Un giro nelle Sedi ne rivela il significato quasi totemico: tanto la giuria questo non lo vede, quando reciti non dare le spalle alla giuria, il metule si alza davanti alla giuria e via andare. Ma chi è (o meglio) cos’è ‘sta giuria? Qualcosa di metafisico, per i più piccoli una sorta di anfesibena tanto che si domandano tra loro: ma che sarà mai ‘sta giuria?, non avendo animo di chiederlo ai più grandi che paiono così colpiti da questa entità superiore. Il mistero si scioglie il 25 aprile in una liturgia officiata dal magistrato (mentre i partaioli si abbandonano a gesti apotropaici) durante la quale la giuria si fa carne e ossa: vengono svelati i nomi. Tutta l’incertezza soprannaturale si trasforma in una terrena ricerca di quello che i tre hanno prodotto nella loro professione, dando inizio alla fase 2 più prosaica e meno magica. Finita la festa, i nomi dei giurati si ri-smaterializzano per tornare a essere astrattamente Giuria; a seguire si tornerà a parlarne in senso impersonale o, al massimo, si dirà dei loro lasciti durante il passaggio terreno: gli insindacabili giudizi. Tavole della legge la cui veridicità è direttamente proporzionale all’esito favorevole o meno. Verso settembre poi, l’abusato termine viene riposto nel cassetto dei ricordi del Calendimaggio concluso, in un letargo letterario da cui si risveglierà la primavera successiva, per ricominciare il ciclico rituale. Quest’anno la sequenza si è tragicamente interrotta, ma potrebbe essere l’occasione per rispondere all’iniziale domanda: ma poi cos’è ‘sta Giuria?
note etimologiche di Carla Gambacorta
Giuria è un adattamento del francese jury (con l’aggiunta di -ìa, diversamente da giurì), che lo aveva preso dall’inglese, a sua volta dall’antico francese jurée ‘giuramento’; il tutto dal latino jurata, part. pass. di jurare (da jus, juris). In italiano, nei primissimi anni dell’Ottocento, per la forte influenza della lingua francese, giurato è passato a designare anche il membro di una giuria, voce questa che, al di là dell’uso “tecnico”, indica estensivamente una commissione chiamata a giudicare una competizione. Uno dei proverbi ai quali giurare ha dato origine si legge anche in Zucchero Bencivenni, notaio fiorentino del ’300: «Sovente giurare fa sovente spergiurare».
L’ascolto musicale
a cura di Assisi Mia
Echo la primavera, di Francesco Landini