In questi mesi gli sforzi delle città e delle amministrazioni sono tutti concentrati nel proporre progetti di ripresa, di innovazione e di sviluppo, finalizzati al benessere di una comunità, che in questo periodo storico ha visto purtroppo l’accavallarsi di gravi problematiche.
La potenziale introduzione di nuovi servizi o il potenziamento di aree a basso sviluppo, magari sostenuta da generosi investimenti pubblici, è vista dal territorio come incentivo e garanzia di aumenti di posti di lavoro, di produttività, di fatturato.
Tutto questo però va governato ed inserito in un serio progetto cittadino che veda coinvolta la comunità, che dia concretezza ad idee destinate a far del bene alla città, rafforzandone la partecipazione attiva dei cittadini.
In caso contrario gli interessi di gruppi hanno la prevalenza e non sempre chi sviluppa le innovazioni riesce a trasformarle in un beneficio diretto e duraturo sul piano locale ed i benefici vanno a pochi.
Diventa così importante avere la capacità di gestire questo momento storico, soprattutto a livello locale e periferico.
Ma spesso non si vedono progetti in tal senso, si intravedono iniziative legate ad interessi parziali, a progetti di “vecchia data” – che vengono tirati fuori da cassetti ammuffiti, solo per intercettare i “schei”- cioè i fondi economici, a decisioni che non vengono comprese.
In un articolo ho letto che “non esiste innovazione che va bene ovunque e per tutti: ogni progettazione va compresa e utilizzata in un contesto specifico, dove può dispiegare effetti più o meno positivi”.
Nella mia città ‘Chioggia’, dove il turismo ha una componente importante, la ripresa sta avvenendo sulla cementificazione sfrenata, sull’edilizia facile, perché sostenuta da contributi e sull’apertura e chiusura di attività; e non so perché, ma forse per la voglia di uscire da questa situazione incerta e complicata, si assiste ad uno sviluppo incontrollato di aperture di attività nel campo della ristorazione e dei bar, a discapito di altre attività commerciali, tutto facilitato anche dall’aumento dei plateatici sorti ovunque come funghi.
Tanto per fare un esempio, nella vicina città di Mestre che ha gli stessi problemi, uno studio ha evidenziato che i bar sono ventidue volte il numero delle librerie, sette volte quelli degli uffici, molto di più delle attività di abbigliamento, per non parlare delle attività artigianali che stanno scomparendo. Una tendenza forte che sta coinvolgendo anche Venezia.
Per carità il mondo della ristorazione e del food (così si dice) va bene, ma non possono le nostre città turistiche diventare sempre più città del mangia e bevi. Tra l’altro questo non essendo governato si scontra con mancanza di operatori e professionisti.
Il confronto in ogni città, come per esempio Assisi, ed il dialogo con il suo territorio dovrebbe essere costante ed equilibrato ma soprattutto ricco di scelte che abbiano una chiara comprensione dell’identità locale e dei suoi cambiamenti, che vanno governati in una visione di medio e lungo periodo, pensando non all’oggi ma al futuro, senza slogan. Poiché poi la vita reale di chi vi abita diventa sempre più difficile, si ottiene il risultato che, mancando una visione d’insieme della città, ci si ritrova con difficoltà abitative, mancanza di spazi pubblici, di luoghi di aggregazione che non siano solo i bar, di piazze che sono state sempre fondamentali per la vitalità di una città. Venezia stessa sta già lavorando nel fermare i negozi “tutti uguali”, nelle locazioni brevi (che poi lasciano case sfitte per lunghi periodi).
Piazza del Comune in Assisi ne è un esempio, quale altro luogo vi è per “vivere” la tua vita sociale e le tradizioni, possibile che invece di costruire nuove case non si possa arricchire la comunità con altri spazi pubblici aperti, meglio integrati nell’ambiente e capaci di creare quell’aggregazione sociale all’aperto, che la storia insegna sono fondamentali per la vitalità di un paese. Spesso vi sono angoli abbandonati che oramai neanche i cittadini li vedono più.
Dobbiamo imparare ad apprezzare l’identità culturale del luogo dove abitiamo, degli edifici, dei musei, dei giardini, delle piazze, dei boschi, della campagna, per apprezzarli in maniera responsabile e per tutelarli.
In questi giorni sto lavorando con un’associazione per sviluppare un caffè letterario, un’idea vecchia, ma che ripresa e ringiovanita, può coniugare la presenza di attività di ristorazione con attività culturali, con momenti di incontro, di partecipazione, per attivare il “tempo delle persone”.
Pensiamo anche che attivare queste cose possa innescare un lavoro di squadra, di gruppo in sinergia con altre esperienze, con la convinzione che mettendo in circolo ogni buona idea ciò possa contaminarne delle altre.
Forse non è più tempo di stare a guardare, perché stanno avvenendo cambiamenti epocali che velocemente, a cominciare dal problema del clima, metteranno in discussione il nostro essere cittadini.