13 Marzo 2022

Vi racconto il mio Pier Paolo così vicino agli umili

Paolo Mirti
Vi racconto il mio Pier Paolo così vicino agli umili

Intervista a Dacia Maraini in occasione dell’uscita del suo ultimo libro dedicato alla sua amicizia con Pier Paolo Pasolini

Uno degli omaggi più belli fatti a Pier Paolo Pasolini a cent’anni dalla nascita ed a quasi cinquanta anni dalla sua tragica morte è certamente il libro che gli ha dedicato Dacia Maraini: Caro Pier Paolo, pubblicato da Neri Pozza e da poco uscito nelle librerie. La scrittrice, una delle nostre autrici più conosciute e lette al mondo che ha firmato capolavori come la lunga vita di Marianna Ucria che figura tra i romanzi italiani più venduti degli ultimi decenni, è stata una delle amiche più vicine a Pasolini nella seconda parte della sua vita. Tra di loro maturò un’amicizia profonda fatta di comuni esperienze culturali ed artistiche e nutrita attraverso i viaggi in Africa insieme ad Alberto Moravia. Nel suo libro in forma epistolare nel quale un ruolo centrale rivestono i sogni, Dacia Maraini riesce a far emergere Pasolini nella sua traboccante vivacità artistica e vena anticonformista ma anche nella sua dimensione più intima e personale con le sue fragilità e con la sua solitudine.

Sia la Maraini che Pasolini sono legati ad Assisi. Lo scrittore friulano proprio durante un soggiorno nella Pro Civitate Christiana ebbe l’ispirazione di realizzare una delle sue opere cinematografiche più famose: il Vangelo secondo Matteo. La scrittrice invece qualche anno fa ha scritto un libro dedicato a Santa Chiara, Chiara di Assisi. Elogio della disobbedienza, nel quale è riuscita a raccontare in modo originale e profondo la straordinaria personalità di una santa capace di fondare un ordine femminile nella società del tempo interamente declinata al maschile.

Dacia Maraini accetta di rispondere alle nostre domande con la solita gentilezza e disponibilità.

Maraini, nel suo libro lei racconta di sognare spesso Pasolini. Sono sogni che non hanno nulla di inquietante o di pauroso nei quali il poeta scomparso sembra voler parlare con lei.

Infatti i miei sono sogni affettuosi, segnati dal ricordo e dall’amicizia. Ma devo aggiungere che la mia infanzia giapponese mi ha insegnato a non avere paura dei morti, come succede da noi, ma ad accoglierli come presenze benigne che ci aiutano a capire meglio la vita.

Lei racconta soprattutto Pasolini nella sua vita privata, nel suo rapporto con gli amici e lo descrive come la persona più docile e mansueta che abbia mai conosciuto. Esattamente l’opposto di come veniva percepito il Pasolini pubblico, le cui posizioni di aspra critica nei confronti del conformismo borghese suscitavano in parte dell’opinione pubblica furie viscerali e reazioni rabbiose. Come convivevano questi aspetti così diversi della sua personalità?

Non convivevano bene infatti questi due aspetti della sua personalità. Gli procuravano angoscia. Per fortuna gli amici conoscevano la parte mite e gentile del suo carattere e lo confortavano con l’affetto, mentre la gente lo giudicava secondo le sue prese di posizione provocatorie che gli creavano intorno sospetto e antipatia.

Il peccato maggiore che Pasolini imputa alla borghesia sembra essere la volgarità. Ma che cosa intendeva davvero per volgarità?

Per volgarità Pasolini intendeva la perdita dell’umano. La sua vita è stata una rincorsa verso la integrità e l’autenticità del mondo contadino, preindustriale che per lui era stato sacrale nella sua visione del mondo e nel suo rapporto con la natura.

 Che cosa era l’Africa che Pasolini ricercava nei viaggi che faceva con lei ed Alberto Moravia? Un luogo nel quale potevi ancora incontrare un popolo innocente e non ancora contaminato dalla modernità?

Proprio così. In Africa Pasolini cercava quella cultura arcaica e innocente che credeva nello stretto rapporto fra l’essere umano e il cielo.

Pasolini ad un certo punto scrive di provare una grande nostalgia per la povertà propria ed altrui ed aggiunge che ci eravamo sbagliati a credere che la povertà fosse un male. Un elogio della povertà che sembra avvicinarlo in un certo senso al messaggio di Francesco d’Assisi. Che ne pensa?

Il suo spirito religioso infatti lo portava a ritrovare le parole di Cristo e quindi di Francesco d’Assisi che lui amava e su cui rifletteva. Pur dichiarandosi comunista, il suo pensiero non si soffermava sulla classe operaia, quanto sugli umili, proprio come faceva Francesco nella sua meravigliosa vicinanza ai poveri e agli esclusi.

Pasolini, che proprio nella Cittadella di Assisi maturò l’ispirazione per girare il suo Vangelo Secondo Matteo, era secondo lei profondamente cristiano. Eppure si scagliava spesso contro le ipocrisie della cultura cattolica e nei confronti della gerarchia ecclesiastica.

Come tutti gli ammiratori dei mistici Pasolini giudicava severamente la Chiesa della ricchezza, dei compromessi storici, la Chiesa del potere e delle decisioni politiche. Per questo cercava di ritrovare le origini della religione nelle parole del Vangelo rifiutando le imprese storiche della Chiesa.

Ritiene che il grande talento artistico di Pasolini si manifestò principalmente nella poesia?

Prima di tutto nella poesia. Poi nella prosa: i miei preferiti sono due piccoli libri autobiografici usciti postumi: “Amado mio” e “Atti impuri”, in cui parla di sé, della sua infanzia e della sua amata Casarsa.

La morte di Pier Paolo Pasolini resta ancora avvolta nel mistero. Lei non crede alla verità processuale secondo la quale sarebbe stato ucciso da Pino Pelosi per difendersi da un tentativo di violenza sessuale. Andò a parlare perfino con Pelosi nel carcere minorile. Come crede siano andati veramente i fatti in quella maledetta notte?

Non lo posso sapere. La morte di Pasolini rimane un mistero, purtroppo. Grave per un paese che si vuole democratico e amante della giustizia. Pelosi ha confessato prima di morire che non era stato lui. Ma non è bastato per riaprire il caso. Nella prima sentenza in effetti si parlava di ‘concorso di ignoti’, quindi c’era un sospetto che ci fossero altre presenze. Ma poi tutto è scomparso di fronte alla presenza del reo confesso. Eppure era talmente chiaro fin da subito che non poteva essere stato il ragazzo. Il quale non portava su di sé nemmeno una traccia della pur violenta colluttazione che c’era stata. Pasolini non è stato ucciso da un colpo di pistola ma da tante sprangate in testa e sul corpo. L’hanno trovato che era una fontana di sangue, e il giovane Pelosi non aveva su di sé neanche una traccia di sangue. Purtroppo, pur confessando che non l’aveva ammazzato, non ha detto chi ci fosse con lui e si è portato il segreto nella tomba.

Paolo Mirti

Giornalista pubblicista è dirigente dell’area cultura del Comune di Senigallia. Nel 2007 ha pubblicato per Giuntina Editrice il romanzo storico “La Società delle Mandorle”. Nel 2016 ha curato per la Claudio Ciabochi editore la guida Assisi nascosta, camminando per la città di San Francesco.

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