Un libro mette in dubbio l’opera svolta dal grande ciclista scomparso per la salvezza degli ebrei rifugiati in Assisi
Tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944 nel tratto Firenze-Assisi, Gino Bartali pedalava per la libertà. Nascondeva nella canna della bicicletta documenti d’identità falsi stampati nella tipografia clandestina di Trento e Luigi Brizi che avrebbero procurato la salvezza di centinaia di ebrei e rifugiati politici arrivati nella nostra terra grazie al lavoro del comitato clandestino formatosi attorno al Vescovo di Assisi Monsignor Placido Nicolini. Per questa sua preziosa opera “ Ginaccio” ha ricevuto nel 2013 dal Memoriale ufficiale di Yad Vashem l’onorificenza di Giusto tra le nazioni, riservata ai non ebrei che hanno messo a rischio la propria vita per salvare dai nazisti cittadini ebrei.
Una pagina straordinaria della storia di Assisi offuscata ora in qualche modo dal libro pubblicato dagli storici Marco e Stefano Pivato dal titolo emblematico:” l’ossessione della memoria. Bartali ed il salvataggio degli ebrei: una storia inventata”. Questo saggio sostiene senza mezzi termini che non esiste un solo documento né una sola testimonianza credibile che certifichino il ruolo che Bartali avrebbe svolto di” postino della pace”. Gli storici, padre e figlio, autori del libro raccontano tra l’altro di aver avanzato cinque richieste di accesso allo Yad Vashem per consultare il materiale da loro raccolto senza ottenere risposte. Insomma, secondo questa versione, la storia di Bartali salvatore degli ebrei sarebbe una sorta di leggenda tra il fantastico ed il fideistico nata per l’affetto popolare nei confronti del grande campione toscano e cavalcata ad arte dalla politica. Una vicenda che stando al parere dei due Pivato dimostrerebbe come la memoria abbia progressivamente preso il posto della storia, trasformandola spesso in una sorta di scorciatoia per leggere il passato. Una memoria priva di complessità e quindi più in sintonia con le semplificazioni del tempo in cui viviamo.
Il libro ha, come era naturale attendersi, suscitato molte polemiche. Alcuni componenti della Commissione per i Giusti tra le nazioni, presieduta da un giudice della Corte Suprema, l’hanno interpretato come una specie di azione diffamatoria ricordando come nel caso di Gino Bartali la documentazione a suo sostegno era imponente. Numerose le testimonianze raccolte dalla commissione israeliana nel corso della meticolosa istruttoria condotta a seguito della quale si è accertato che grazie all’opera di Bartali che ha trasportato clandestinamente nella sua bicicletta documenti falsi sono stati salvati dai nazisti tra Assisi e la Toscana circa 800 ebrei. Una testimonianza in particolare, quella dell’avvocato fiorentino Renzo Ventura, è stata molto significativa. Ventura ha raccontato infatti di essere ancora in possesso di quattro carte d’identità false: della mamma, del nonno e della nonna e di una zia.” Sono cresciuto-racconta- sentendo dire in famiglia in ogni momento che quei documenti li dovevamo a Gino Bartali”.
Personalmente non sono uno storico, non conosco i documenti prodotti e non sono quindi in grado di esprimere un giudizio ponderato. Ho parlato più volte però di questi fatti con Andrea Bartali, il figlio di Gino scomparso anche lui qualche anno fa, rimanendo sempre colpito dalla forza e dalle emozioni che sgorgavano dalle sue parole. Ricordo in particolare un suo intervento a Trento durante in occasione di un convegno nel quale si parlò dell’eroismo di Gino Bartali e del vescovo trentino Nicolini. Mio padre- raccontò in quell’occasione Andrea Bartali- non voleva che questa storia fosse divulgata. Mi diceva:” io voglio essere ricordato per le mie imprese sportive e non come un eroe di guerra. Gli eroi sono altri. Quelli che hanno patito nelle membra, nelle menti, negli affetti. Io mi sono limitato a fare ciò che sapevo meglio fare. Andare in bicicletta. Il bene va fatto ma non bisogna dirlo. Se viene detto non ha più valore perché è segno che uno vuol trarre della pubblicità dalle sofferenze altrui”.
A questo punto io chiedevo a mio padre: ma perché mi racconti tutte queste storie se poi non posso divulgarle? E lui mi rispondeva:” i tempi adesso non sono maturi. Te ne accorgerai da solo quando potrai parlare”. Ecco- concluse Andrea Bartali- forse quel momento è arrivato.