18 Febbraio 2021

La Paralisi

Alessio Mariucci
La Paralisi

La situazione epidemiologica locale unita all’inclemenza climatica, che di colpo ha spazzato via i tepori primaverili della prima settimana di febbraio, ci trattengono in una strana situazione di alterità cristallizzata. La mappa della Penisola e i servizi dei telegiornali raccontano in modo brutale e forse improvvido di un paese che si appresta a uscire dall’emergenza. O perlomeno a entrare in una nuova normalità che difficilmente potrà ricalcare in toto quella conosciuta fino a un anno fa. Ma qual è lo scenario che la nostra città ritrova nel post-pandemia?
La storia del Paese e delle vicende politiche mondiali insegna che le situazioni emergenziali sono spesso occasione per l’adozione di provvedimenti che limitano i diritti o quantomeno per il cambiamento di situazioni acquisite, senza rischiare il vaglio del pubblico consenso. Parla per tutte, ad Assisi, la chiusura di piazza San Francesco.
Di recente in tutto il Paese e puntualmente anche nel nostro centro storico, abbiamo assistito a provvedimenti che hanno consentito a commercianti e ristoratori di ampliare l’uso dello spazio pubblico.
Più o meno chiunque ne abbia fatto richiesta ha visto crescere o addirittura apparire dal nulla il proprio il dehor: un modo per integrare gli ammanchi di superficie commerciale, e quindi di introiti, causati dall’applicazione delle norme di distanziamento. Sacrosanto il provvedimento “in tempo di guerra”, ma che succederà quando si tornerà allo stato naturale delle cose?
Nel paese in cui nulla è più duraturo del provvisorio, la cosa è stata accolta con preoccupante trasversalità dalla comunità cittadina, attestandone forse la sparizione come soggetto politico con dei diritti. Il semplice caso in cui gli arredi esterni hanno preso il posto degli stalli per parcheggi, in un paese in cui al diminuire dei residenti sembra crescerne inspiegabilmente la scarsità, rischia di essere l’esempio di come si guardi solo agli interessi di chi la città la usa in luogo di quelli di chi la vive.

Questa riflessione prende spunto da una lunga serie di episodi che confermano come le esigenze del mercato continuino – da decenni e senza sosta – a governare le dinamiche urbane.

La situazione che ogni giorno si materializza a Piazza Matteotti, quando decine di veicoli e persone nell’orario di uscita delle scuole (a frequentazione limitata!) si affastellano lungo le strade che perimetrano un parcheggio vuoto è la plastica figurazione della rinuncia all’amministrazione dei processi cittadini. È il segno che il potere pubblico è svuotato dall’interno dai prevalenti interessi privati, capaci e nella possibilità di redigere contratti di gestione a propria esclusiva discrezionalità.
Se la recente vicenda pandemica funzionerà come pensa chi scrive da straordinario catalizzatore dei fenomeni già in corso da tempo, abbiamo alle porte una vera e propria deflagrazione di estrazione di valore dal patrimonio. A un tessuto residenziale sempre più in vendita tre giorni alla volta su AirBnB, rispondono gli investimenti anticiclici di fondi esteri e speculatori di dubbia provenienza, solo in parte limitati a casa nostra dal fatto che i grandi immobili di pregio sono in mano agli enti religiosi, veri padroni della città. Questi, avendo ben chiaro come non si possano servire due padroni, hanno da tempo scelto da che parte stare con beatificazioni “provvidenziali”, che si aggiungono alle ben note offerte minime obbligatorie a saldo pernottamento.
La desolante vicenda di Assisi descrive bene quella di una “distruzione in tempo di pace”, con la città storica al centro di politiche neoliberali che oltre al ruolo di coscienza civile delle pietre taglia anche la funzione democratica dello spazio come luogo di confronto e dialogo dei cittadini. Mentre la Costituzione con l’articolo 42 tutela la funzione sociale del patrimonio, la paralisi dell’immaginario che inibisce ogni ripensamento dell’idea di città ne espropria il sociale stesso.
È paradigmatica la ricostruzione del piccolo pergolato in ferro ora spoglio in Piazza della Chiesa Nuova, parte dell’allestimento dello sceneggiato ‘Che Dio ci aiuti’.  Prima che la fruizione libera di quello spazio fosse interdetta dai feroci Dpcm, vi aveva provveduto il decennale crollo delle nascite. Al posto di bambini e ragazzi con le maglie dei beniamini della serie A, un pallone acquistato al supermercato più vicino (se ne vendono ancora nei negozi dentro le mura?) e le porte stilizzate dalle mitiche cartelle a terra, c’è il set. Una rappresentazione alternativa del rito sociale che vi si celebrava prima. Alla “città-incontro” di Marc Augé in cui le persone e i loro rapporti sono la personalizzazione del luogo in cui vivono, si è sostituito un uso senza relazione che non sia quella economica.  Lo spazio pubblico ritrova la sua forma nella rappresentazione meramente di facciata, generando la “città-fiction”.

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