05 Giugno 2020

Non sprechiamo un’altra occasione

Paolo Petrozzi
Non sprechiamo un’altra occasione

Dopo il terremoto del 1997 la città era praticamente in ginocchio. Non tanto per i danni fisici causati dal sisma (che erano comunque tanti ed importanti) quanto per il fatto che quell’infausto evento aveva provocato temporaneamente la fine di tutte le attività che più connotano il nostro territorio: quelle turistiche. Abbiamo avuto sotto gli occhi, fin da subito, la prova provata che l’imprenditoria assisana, benché da anni votata verso il settore turistico mostrava tuti i suoi limiti e la sua fragilità.  Ma poi arrivarono i denari per la fase di ricostruzione. Si cominciò a rimettere in sesto fisicamente ciò che il sisma aveva danneggiato (dire distrutto sarebbe troppo) e si cominciò a parlare di un “nuovo Rinascimento”. Ma più si ricostruiva: edifici danneggiati, infrastrutture viarie, contenitori pubblici meno forza acquisiva quel termine. Fino ad arrivare ad avere una città che, per citare Riccardo Cocciante, appariva come una “bella senz’anima”. Perché era  accaduto ciò? E soprattutto che ne era stato del nuovo Rinascimento? Credo che l’unica spiegazione sia stata quella di constatare, con enorme rammarico, che dietro a quel progetto ambizioso è mancato soprattutto il genio. Diversamente da quanto accadde a Firenze nel ‘400 dove a dare corpo ai sogni ed  alle volontà di Cosimo c’erano Botticelli, Leonardo, Poliziano e via discorrendo, dietro ai progetti di Assisi non c’è stato null’altro che la necessità di fare in fretta, di sbrigarsi a riaprire la “Disneyland Serafica”. Eppure era quello il momento ideale per costruire, attraverso l’uso del progetto, inteso come strumento principe di programmazione e pianificazione, un nuovo modello di sviluppo urbano più consono alle caratteristiche ed alle potenzialità del luogo. E’ mancato, direbbero i nostri padri romani, il   “genius loci” come forma di approccio metodologico allo studio dell’interazione tra il luogo e la sua vera identità.  Ne volete la riprova? Bene. Basta elencare gli edifici pubblici (tutti di notevole importanza) che oggi benché perfetti dal punto di vista fisico sono privi di contenuto. Palazzo Vallemani è il più imponente. Vuoto per metà rappresenta la quintessenza di un contenitore che contiene assai meno di quanto potrebbe e dovrebbe contenere. Per fortuna che le sue soffitte sono state concesse alla Magnifica Parte de Sotto che, prontamente, le ha riempite, se non altro, di assidue presenze e variegate attività ludiche. Sotto ci sono due piani che da anni giacciono inutilizzati. Sotto ancora la Pinacoteca poco valorizzata e la biblioteca ancor meno. Poco distante il Monte Frumentario. Luogo di straordinario fascino per il quale non si è ancora riusciti a trovare una utilizzazione che ne consenta la giusta valorizzazione con una certa continuità. Poche iniziative ogni anno. Anche perché, contestualmente al suo restauro con destinazione congressuale, si è pensato bene di creare un suo alter ego davanti al teatro Lyrick, usando uno dei vecchi capannoni Montedison. Morale: concorrenza interna tra i due contenitori e scarsissimo utilizzo di entrambi. Risultato magnifico. A proposito di teatro, il Metastasio è solo adesso oggetto di ristrutturazione e, a quanto si dice, ne avrà per lungo tempo. Anche qui la struttura dovrà fare i conti con il fratello maggiore assai più moderno, capiente e funzionante per giustificare la propria esistenza in vita. Palazzo Giampè era la sede del tribunale. Durante i lavori di riparazione danni questo palazzotto dignitoso, ma niente di più, ecco che ci regala, una volta aperte le sue viscere, splendidi esempi di architettura romana con tanto di mosaici, affreschi e suggestioni varie. I resti romani vengono subito fagocitati dalla Soprintendenza Archeologica (che li gestisce con la sua ben nota solerzia) ed il palazzo viene concesso (ahinoi) alla Polizia di Stato che vi fissa la propria sede cittadina. Una bella occasione sprecata, pur con grande rispetto per la Polizia ovviamente. Infine eccoci  a Mojano. Dove ci sono delle bellissime fonti che versano in uno stato di incuria intollerabile e, davanti a queste, l’edificio che ospitava il vecchio Mattatoio. Un luogo incantevole, una serie di spazi accattivanti che, una volta recuperati, vengono oggi occupati dagli uffici delle Finanza. Avete capito bene? Due luoghi che potevano essere oggetto di due significativi progetti di e per Assisi sono, allo stato attuale, preclusi agli assisani perché non abbiamo saputo usare il genio e, di conseguenza, non avevamo un progetto. Ce ne sarebbero altri di esempi ma penso che già quanto detto possa almeno servire per aprire un dibattito.

Anche oggi la città è in ginocchio. E’ bastato un virus e tre mesi di quarantena. Tutte le attività commerciali, salvo qualche raro caso, sono state chiuse e, mi sa tanto, molte finiranno per rimanere chiuse per sempre. Ho sentito qualcuno parlare di nuove opportunità che nascono dalle ceneri di situazioni catastrofiche. Dopo la guerra si rinasce. Qualcuno ha parlato di Nuovo Rinascimento. Dentro di me le mie viscere hanno avuto un moto di ribellione. Non facciamoci ancora una volta gabbare da questo concetto. Il nuovo Rinascimento di Assisi non può cominciare se dietro non ci sarà un vero progetto.  Vogliamo che la nostra città diventi una città sostenibile? Una città realmente ecologica? Una città dove il livello di turismo sia più alto e meno mordi e fuggi? Un esempio di integrazione sociale e culturale, una città piena di gente che la abita? Se vogliamo ciò dobbiamo impegnarci in prima persona mettendo a disposizione le nostre capacità e il desiderio di partecipare al progetto. Con serietà, metodo e feroce applicazione. Non saremo Brunelleschi ma non siamo neanche da buttare via. Ne sono certo.

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