11 Maggio 2025

Un’orchidea ora splende nella mano.

Claudio Volpi
Un’orchidea ora splende nella mano.
Joseph Rebell,- 'Burrasca al chiaro di luna nel golfo di Napoli' - 1822

Ridare luce a un poeta oggetto di culto locale, Lorenzo Calogero, nato a Melicuccà (Reggio Calabria) nel 1910, morto nel 1961, con una travagliata vicenda esistenziale che lo vide diventare medico e poi divenire affetto da nevrosi, preziosa voce dell’ermetismo non solo italiano. Apparteneva a una famiglia benestante, l’esercizio della professione medica mai troppo felice, quindi soprattutto tanta e tanta solitudine, tantissima vita psichica, travaglio interiore che lo induce a un grande investimento poetico. Nelle sue liriche si avverte con forza la concretezza e insieme la fragranza della sua terra, il senso della radice, il desiderio e il contatto del mondo visibile, a cui si aggiunge un tessuto onirico, partecipe del linguaggio ermetico e della nuova lirica novecentesca. “Cos’è la poesia? È la mancanza di quell’altrove che siamo, della nostra stessa alterità, di quando ci troviamo in una misteriosa relazione con tutto ciò che esiste, con il ritmo delle cose e il respiro del cosmo, un sentimento del sacro, dove il sacro coincide con la realtà stessa. Calogero aspirava segretamente all’invisibilità. L’altrove della poesia privilegia l’ombra e il silenzio, l’antimondanità e lo smarrimento, si mantiene a incommensurabile distanza dal potere, politico, accademico, letterario, genera un disadattamento felice. La poesia è un linguaggio che implica una tecnica…, ma prima ancora è un modo di essere, uno sguardo immaginativo, intensificato, fatto di limpida meraviglia sulla realtà, quasi l’attenzione vigile di un sonnambulo: ‘Sono il solitario origliare di ciò che dorme’ (Calogero)…. Lui raccoglie il chiunque rendendolo universale, trasfigura il quotidiano in bene comune. Il poeta si inabissa rischiosamente nella propria solitudine, ma fino a trovare la comunità (il noi diceva Caproni), esplora il proprio altrove fino a incontrare l’altrove di tutti… I suoi versi dissonanti e trasparenti, lunghi quanto il respiro di ciascuno di noi, parlano a tutti” (F. La Porta)

 

Fuga di Pensieri

Fuga di pensieri lontana.

Mi percuote un’onda fugace

dentro una dolcezza non vana

di ultimi pensieri non miei,

segreti neri non veri angosciosi.

 

Quanto ho disperso mi guarda,

mi grida o mi sgrida.

Lontano mi risveglia

in un grido e mi guida

sopra una riva,

nei teneri tuoi occhi,

perduta fuori di mano.

 

Ho perduto ciò

che non sapevo

e custodivo gelosamente,

quando angeli stanchi

sulla cima dormiente degli alberi

fredda non odono,

nel freddo velo

buio scarno che spira

nella mattina secca

a ponente.

 

Vieti pensieri,

rapidi occhi

voi passaste

e viveste un’ora sola.

Un sordo brivido svapora

dai miei sentimenti

nei tenui tuoi

teneri occhi dormienti.

 

 

Angelo della mattina

Angelo della mattina

risvegliami ancora

per la nuova fulgente aurora

che s’arrossa sull’orizzonte

o s’incrina.

 

Io sono uno strano mendicante

che chiede amore e parole,

sono un solitario emigrante

verso le terre della luce

e del sole.

 

Vienimi coi tuoi fulgori,

angelo che non ristai,

coi tuoi infiniti fulgori

colle movenze che tu sai,

 

e crescimi delle meraviglie,

di quanto raccogli

negli occhi neri,

degli infiniti misteri

che tu celi

dentro l’arco  dei cigli.

 

Fammi conoscere

ciò che tu conosci

i riflessi della tua bocca chiara;

mutevolmente nel mio cuore

già amara

è una musica

una magica forma,

in una pioggia che scrosci

 

 

…E quel che mi rimane

… E quel che mi rimane

è un poco di turbine

lento di ossa

in questo orribile viavai

 

dove è alzato anche

un palco della morte.

Ma io mi sento

sempre spento.

Un poco di nebbia

mi assale.

 

Ed io ho amato

un fiore di biancospino

nelle tue giunture,

nelle tue ossa,

nelle aperte contrade.

Guarda non più di ieri;

e la sagoma amata

dorme accanto

ai futuri cipressi

colla giovinezza

della tua gloria.

 

Ma dimmi;

e perché mi ami?

la tua giovinezza passata

e futura era una foglia

e perché da un lembo stai.

 

Ma tanto,

quel che ho amato

era la tua giovinezza scorsa

e remota come un canto

nel canto imminente

della sera.

 

 

Io mi interrogo e domando

Io m’interrogo e domando

a me stesso e se so qualcosa

taccio. Quando cade plumbea

dal cielo di gennaio la pioggia

che tocchi col tuo passo e questo

era il senso o quello del suono

del letargo, non più basso

delle nubi il dominio del volo

del vento era disceso. Sapevano

altri interrogarti. Aerea fugge

una cortina di nuvole.

Quel ch’io fui

dentro una filigrana,

se una veste

chiara sui prati

s’addensa ancora,

io non credo più.

L’allodola è fuggita

dall’arco del suo cielo.

Nel silenzio, nello squallore

una vita squallida è toccata.

Guarda! Una linea scende mesta

dai monti prona:

mista ad una lapide

è segnata.

 

 

Lettere d’amore

Mandai lettere d’amore

ai cieli, ai venti, ai mari,

a tutte le dilagate

forme dell’Universo.

Essi mi risposero

in una rugiadosa

lentezza d’amore

per cui riposai

su le arse cime frastagliate loro

come una selva di vento.

 

Mi nacque un figlio dell’oceano.

 

 

 

 

Claudio Volpi

Nato ad Assisi, dove vive e lavora. Laureato in Lettere Moderne, si occupa di Arte e Antiquariato, ha una Galleria D’Arte nel centro storico della città. Dagli anni ottanta ha pubblicato diverse raccolte di poesie, l’ultima quest’anno con il volume “Voci Versate”, Casa Editrice Pagine Roma.

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