01 Agosto 2021

Ricordo dell’idroscalo, di Alberto Moravia.

Claudio Volpi
Ricordo dell’idroscalo, di Alberto Moravia.

Continuando oggi con Alberto Moravia, ecco la poesia dedicata all’uccisione del suo grande amico Pier Paolo Pasolini, scritta dopo che l’assassino aveva detto in un’intervista al ‘Corriere della Sera’ che sapeva di aver ucciso un grand’uomo, che era pentito, che voleva leggere i libri di Pasolini.  Diceva Moravia al funerale di Pasolini parole destinate a rimanere nell’immaginario collettivo: “In questi ultimi giorni sono stato continuamente ossessionato dalle immagini della morte di Pier Paolo Pasolini. Non soltanto per la crudeltà, l’atrocità di questa morte, ma perché non mi riusciva di rintracciarne il senso, il significato, e noi uomini vogliamo che le cose significhino qualcosa, che non siano slegate, assurde, inerti, senza una voce, senza un messaggio. Alla fine mi è sembrato di capire questo; che chi fuggiva a piedi inseguito era Pier Paolo Pasolini, il poeta, e colui o coloro o chi fossero che gli correvano dietro non avevano un volto perché non sapevano quello che facevano e non sapevano chi era Pasolini. Abbiano perso prima di tutto un poeta e di poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto dentro un secolo. Quando sarà finito questo secolo Pasolini sarà tra i pochissimi che contano come poeta. Il poeta dovrebbe essere sacro”. In questi versi si dà un volto all’assassino che tuttavia si fa allegoria dell’intera società. È a suo modo un documento straordinario.

No, non hai ucciso un grand’uomo
non hai ucciso neppure un uomo
hai tentato di uccidere te stesso
senza riuscirci
Ti stava davanti
l’hai guardato e hai creduto
di vedere te stesso
proprio te stesso
come in uno specchio
con la tua miseria
la tua ignoranza
la tua astuzia
la tua abiezione
e allora ti sei odiato
per quello che eri
per quello che non eri
per quello
che non potevi essere
ti sei odiato e mentre
dal membro molle ti sgocciolava
lo sperma or ora
venduto
e nella tua mente
tutto era confusione e schifo
tuo padre e tutti gli altri padri
d’Italia
ti hanno additato nella faccia
di Pasolini
la tua faccia di sottoproletariato
che si vende alla stazione
e ti hanno ordinato
di spaccarla appunto
come si spacca lo specchio
che ci riflette
Le tue scarpe alla malandrina
larghe di tomaia strette in punta
imbarcavano la sabbia fredda e grossa
il vento ti soffiava
fastidioso in faccia
senza portarti sollievo
l’aria era come la sabbia
fredda e grossae hai capito che era venuto il momento
della lotta suprema
con te stesso
Hai visto un cancello
al di là c’era la notte
e il cancello era rosa
sul nero della notte
rosa come il foro
tra il nero dei peli
rosa come la ferita
in cima
alla testa di Pasolini
tra il nero dei capelli
Ti sei chinato e con te
si è chinato tuo padre e tutti gli altri padri
d’Italia
hai raccolto la tavoletta
e poi hai vibrato il colpo
e con te l’hanno vibrato tuo padre
e tutti gli altri padri
d’Italia
Ahimè ho ucciso un grand’uomo
col primo colpo ho distrutto il ganglio
che gli faceva scrivere le poesie
ahimè ho ucciso un grand’uomo
mai più poesia dopo il primo colpo
mai più poesia
Ahimè ho ucciso un grand’uomo
col secondo colpo ho distrutto il ganglio
che gli faceva scrivere i romanzi
ahimè ho ucciso un grand’uomo
mai più romanzi dopo il secondo colpo
mai più romanzi
Ahimè ho ucciso un grand’uomo
col terzo colpo ho distrutto il ganglio
che gli faceva fare i film
ahimè ho ucciso un grand’uomo
mai più film dopo il terzo colpo
mai più film
Adesso Pasolini non era più Pasolini
dopo il terzo colpo
era me e allora ho capito
che
Pasolini doveva morire
perché era me e mio
padre e tutti i padri
d’Italia
mi avevano condannato
a morire come
un cane arrabbiato
Così ho massacrato di botte
quell’uomo che non era più un
grand’uomo
e non poteva più scrivere poesie
comporre romanzi
girare film
ed era me, proprio me
e nessun altro che me
L’ho inseguito
a colpi di tavoletta
gli ho spezzato
tante ossa
nella testa
nelle mani
nelle braccia
nella schiena
Quand’è caduto
sono caduto con lui
ma non era morto
non era morto
allora sono salito in macchina
ho acceso il motore
ho girato le ruote
ho acceso i fari
Era lì
ero lì
nella luce dei fari
un mucchio di ossa spezzate
ma ancora vivo
ho girato le ruote
e ho premuto il pedale
dell’acceleratore
gli sono passato sopra
poi ho fatto marcia indietro
e gli sono ripassato sopra
Dicono che gli ho fatto
scoppiare il cuore
che aveva il fegato
spappolato
che la mascella
era divelta
ma che cosa non si farebbe
contro se stessi
in certi momenti
Quando sono stato fuori
del recinto
mi sono trovato al volante
di una Alfa Romeo Duemila
grigia metallizzata
ho capito che ero
ormai
Pier Paolo Pasolini
Un uomo ricco potente
niente a che fare con la borgata
niente a che fare con la stazione
niente a che fare con me stesso
io ero rimasto morto
come un cane arrabbiato
nel recinto
con tutte le ossa spezzate
ucciso a bastonate
come un cane rabbioso
e adesso ero Pasolini
al volante
della Duemila
Correvo dritto e calmo
sul lungomare ero Pasolini
senza poesia, senza romanzi
senza cinema
seduto al volante
dell’Alfa Romeo
grigia metallizzata
Poi ho riaggiustato lo
Specchietto
senza il parabrezza
e allora mi sono visto
ho visto
che ero pur sempre io
che disperazione
che sconforto
che vergogna
io il sottoproletariato
condannato a morire
da mio padre e da tutti
gli altri padri
d’Italia
Ahimè ho ucciso un grand’uomo
ma adesso leggerò i suoi libri
tutti nessuno escluso
le poesie
i romanzi
i saggi
le commedie
gli articoli
gli appunti
e quando mi presenterò davanti ai giudici
della Corte di Appello
dirò che ho ucciso un grand’uomo
che mi sono pentito
che ho letto i suoi libri
E allora sarò assolto
e tornerò indietro
alla borgata
alla famiglia
Eccomi di nuovo alla stazione
ecco al volante dell’Alfa Romeo
Duemila
grigia metallizzata
arriva Pasolini
Mi fa cenno, salgo
“dove andiamo?”
gli dico: “all’idroscalo”
Ahimè tutto ricomincia
Eppure
ero pentito
e avevo
letto tutti i suoi libri.

Claudio Volpi

Nato ad Assisi, dove vive e lavora. Laureato in Lettere Moderne, si occupa di Arte e Antiquariato, ha una Galleria D’Arte nel centro storico della città. Dagli anni ottanta ha pubblicato diverse raccolte di poesie, l’ultima quest’anno con il volume “Voci Versate”, Casa Editrice Pagine Roma.

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