Scrivere la vita di un santo non è come scrivere la vita di un uomo. Di un uomo si diranno nascita vita e morte, ma nella lapide finale a figurare sono le sole date d’inizio e di fine. Di un santo si favoleggiano detti esemplari e gesta straordinarie, che ne depongono sulla tomba candele accese dai fedeli, alla cui luce detti e gesta assumeranno sembianze fantastiche. La vita di un santo è la vita di Cristo rivisitata in chiave moderna, o viene scritta copiando la vita di santi altrui in una interminabile catena di fatti e invenzioni, quante sono le stelle del cielo, dove non si distingue più tra il vero e il falso. Ad esempio la storia della stalletta: è mai possibile che madonna Pica, che aveva sposato il mercante più ricco in città, non disponesse di una cameretta linda e calda per mettere al mondo il figlio primogenito? Possibile che dovesse cercare la compagnia di un bue e di un asino per scaldare col loro fiato il nascituro? Eppure è quello che si racconta, e il bello è che la gente ci credeva, forse ci crede ancora. Credeva al racconto di un misterioso viandante che aveva bussato alla porta di Pietro di Bernardone preannunciando alla moglie Pica la nascita di un figlio eccezionale veramente. E dove lo va a partorire questo fenomeno? In una stalla, la stalla del cavallo, manco fosse Gesù di Nazareth quella volta che in gita a Betlemme babbo e mamma non trovando posto in un albergo si adattarono nella stalla in mezzo al fieno e agli animali. Ora, io dico, «Ma te posso toccà? Ma vattene!». Eppure la gente ci ha creduto per secoli. Volendo ci si potrebbe credere ancora, considerando quanto vi si legge: «Questo è l’ostello dove nacque Francesco il poverello». Dov’è la prova? Lo prova la tradizione dei dipinti che si vedono in questo ambiente stretto e lungo, coperto da una volta in pietra a schiena d’asino che ricorda le volte romaniche in San Damiano e alla Porziuncola, benché la porta d’ingresso abbia un arco gotico di forma più recente. Sulla parete di fondo ci sono ancora due affreschi frammentari, per quanto siano stati staccati dalle pareti per preservarli dall’umidità dell’ambiente. In uno c’è una mano che spunta da una mandorla quasi fosse una nuvola, per benedire una aureola che tiene sotto un santo del quale si è persa memoria. L’altro ritraeva l’immagine di un santo del quale resta la punta del capo, coi capelli tagliati a chierica che lo fa sembrare un frate francescano, o meglio san Francesco con un’aureola per casco. Il secondo, a occhio, per i decori della cornice che s’incontrano altrove, ma anche per quel che resta della testa chiericata, è di un pittore che dipinse varie cose in città sullo scorcio del XIV secolo; è l’autore di un gonfalone per la confraternita di San Francesco che fu ultimato nel 1378, e di altri dipinti in Santa Maria Maggiore ma anche in Santa Chiara e in varie confraternite. Potrebbe essere identificato in un Giovanni di Nicola da Bettona, documentato ad Assisi tra il 1363 e il 1399, al servizio tanto del comune quanto dei frati del Sacro Convento. L’altro dipinto sembrerebbe più antico, o meglio sta a dimostrarlo come si sovrappongono i due intonaci, a indicare quale è stato dipinto prima e quale dopo. Ma anche il font dell’iscrizione che si legge, scritta in onciale piuttosto che in gotico rotunda. Tanto è bastato per far parlare di una tradizione che aveva trasformato la stalletta in una cappella dedicata a san Francesco piccolino. Da cosa nasce cosa: la stalla dove madonna Pica mise al mondo Francesco, quasi fosse una Betlemme in salsa umbra. Tanto più che il muro esterno è stato rinforzato da un grande arcone, nel quale si è voluto riconoscere un intervento di restauro dovuto a un discendente di Pietro di Bernardone: un tal Piccardo, nipote di Francesco per essere figlio del fratello Angelo, che nel settembre 1281 ottenne il permesso di poter alzare un arco fra la casa di Ugolino di Contadino e la sua, e magari trasformò una stalletta in una cappella con l’immagine del santo di famiglia. Cosa dire? Boh! Tutto molto suggestivo, tutto molto pittoresco. Già che ci sono recito una preghiera anch’io: male non farà.