L’estate è arrivata, con le nuove notti. Dietro il Monte la notte è diversa. Il buio è buio. È suono. In inverno di vento. In estate di rane, cicale, uccelli. Il silenzio delle stelle è la luce di una vita che non può parlare se non nel buio. Mi fermo a guardare le lucciole. So che non ne vedrò mai più così tante, quando me ne andrò via da qui. Continuo a mettere da parte ciò che non porterò con me. Trovo una foto di Giacomo piccolissimo, nel portafoglio del padre. Lo avevo conservato tra le cose di Giacomo, e me n’ero dimenticata. La prima cosa che vide, Giacomo, quando arrivò qui, alle spalle del Monte, fu la neve. Lui che veniva dalla terra del Mekong. Dalla giungla. E la gatta Gennarina gli faceva da guardia, stesa sul davanzale della finestra. Una guardia contro il freddo e il bianco. La bellezza sorda dell’inverno. Ascolto, guardo. Cos’è la bellezza? La neve? Il canto delle rane? Le stelle? Le lucciole? Gli occhi stupiti di un bambino che ha lasciato la sua terra senza neanche saperlo? Questa campagna che brulica vita sempre di più ora che è meno abitata, che è sempre più bella nell’abbandono? Forse dovrei mettere da parte anche questa bellezza, e portarla con me. Ma la bellezza non può essere accumulata. La bellezza non si capitalizza. Non ti segue come un oggetto. Non la vendi, non l’acquisti. Puoi tutt’al più nasconderla o distruggerla. Non puoi farne una proprietà. La bellezza è libera per sua stessa natura. Non può essere diversamente. Sono felice che mio figlio sia bello. Così come lo sia la casa che lascio, e il luogo dove si trova. Perché la loro bellezza non mi appartiene. E non apparterrà mai a nessuno.
Quando scelsi di vivere alle spalle del Monte insieme all’uomo che amavo, nella casa di cui conoscevo ogni pietra e ogni trave, ero ancora grata per la bellezza di ogni albero e di ogni animale che viveva accanto a me. E quando arrivò Giacomo, cercai di guardare quella bellezza anche con i suoi occhi. Per molto tempo fu così. La vita poi, prese direzioni che rendevano la bellezza sorda. Inutile. Colpevole. Eppure, la bellezza era lì, mi aspettava. Una sera, Giacomo, dopo essere tornato a casa in moto mentre il sole tramontava, disse – mamma, abitiamo in un posto bellissimo. E nel rispondergli – sì, è vero, la rividi anch’io quella bellezza che non volevo più vedere. Ormai, però, sapevo che non aveva bisogno di noi. Neanche della nostra ammirazione. Vivere nella natura, che è la bellezza prima, t’insegna anche la sua indifferenza. La vita (la bellezza) ci prescinde. Perché le apparteniamo. Basterebbe questo, però, per farci percepire lo spreco orrendo della distruzione. Non dovremmo difendere la bellezza di queste colline, dei loro boschi, di queste notti, dei loro odori e suoni, della poiana assente nella luce complice della sua caccia, della volpe che ti guarda, prima di sparire tra le ginestre, per compiacerci. C’è della vanità anche nella scelta della bellezza. Persino nella sua difesa. Noi dovremmo difendere la vita, che ci ignora, perché ne siamo parte. Una parte irrisoria, che ha valore solo all’interno di una logica che non ha bisogno di noi, ma alla quale dovremmo essere grati proprio per la nostra ridondanza.
Me ne andrò via da qui, con Giacomo, diversa, per sempre. Perché, se quando ho difeso la bellezza di queste colline l’ho fatto prima per me che per loro, ora so che, pur non abitandoci più, le difenderò con ancora maggiore convinzione, perché non lo farò più per me. Lo farò perché è necessario rispondere alla vita con la vita.
Dietro al Monte ho capito che la bellezza non ci salva, ma può perdonare di esserci salvati.