Di Francesco sappiamo che morì sulla nuda terra della Porziuncola nell’ora del vespro il 3 ottobre 1226, ma in quale anno e in quale mese e giorno è nato? Mai nessuno che lo dica, non sappiamo neppure dove. Tommaso da Celano provò a rimediare riscrivendone da capo la vita intorno alla metà del Duecento, sollecitato dalle richieste di nuove cose in cui credere, magari anche inventando. E allora scrisse che «La madre lo aveva chiamato Giovanni, quando rinascendo dall’acqua e dallo Spirito Santo, da figlio d’ira era diventato figlio della grazia». Un modo come un altro per dire che era stato battezzato col nome di Giovanni, e che solo in un secondo tempo «ebbe questo nome [di Francesco] dalla divina Provvidenza, affinché con la sua originalità e novità si diffondesse più facilmente in tutto il mondo la fama della sua missione». Francesco non è nemmeno il nome vero. È un soprannome, quasi fosse un talismano, come altri vengon detti, per il loro aspetto, “Baffone” o “Scopetta“. Il soprannome gli portò fortuna più del nome vero, e ancor oggi è chiamato così in ricordo di un padre lontano da casa: ma di chi sarà figlio questo Giovanni se il padre stà sempre in Francia? Ad Assisi c’è ancora il fonte battesimale dove è tradizione venisse battezzato. È posto subito dietro la porta d’ingresso alla facciata di San Rufino, la terza cattedrale nella parte alta della città, nella navata che guarda a valle, e ha l’aspetto che ricevette in occasione del centenario francescano del 1882, a quando risale l’altare in terracotta degli stuccatori perugini Raffaele Angeletti e Francesco Biscarini, decorato da un dipinto di Franz De Rohden detto Checco: pittore di origine viennese ma nato per caso a Roma, tornato in Italia per nostalgia del paese dove fioriscono i limoni. Vi è ritratta una donna, forse la madre Pica, che tutta vestita di giallo e di verde è seguita come da un’ombra, un uomo misterioso con mantella e bastone e cappello. Non è certo un mercante, sembra piuttosto un pellegrino: si vede che il marito Pietro era lontano da casa anche nel ricordo degli assisani di fine ‘800. La donna compare davanti a un pozzo e solleva un infante accostandolo al prete che sta dall’altra parte della vera, vestito di cotta e stola mentre con una scodella fa stillare una pioggia d’acqua sul capo del piccolo. C’è anche un fanciullo vestito da chierichetto, che si appoggia a un cero e sembra dire «Non è fredda. L’ho presa anch’io». Come lo sanno tutti coloro che hanno avuto la fortuna di essere nati per caso in città. Questa storia del pellegrino misterioso è presente nel De conformitate di Bartolomeo da Pisa, e siamo alla fine del 1300, dove si racconta di quando un povero bussò alla casa dei genitori di Francesco, e una volta ricevuta l’elemosina chiese con insistenza di poter vedere il neonato. Come lo ebbe tra le braccia, lo segnò con la croce e disse che quel giorno erano nati due bimbi: uno sarebbe stato tra i migliori uomini al mondo e l’altro tra i peggiori. E subito scomparve. Bartolomeo da Pisa si sentì in dovere di spiegare che il viandante era in realtà un angelo: chiedendo di prendere in braccio Francesco aveva fatto come l’anziano Simeone quella volta che a Gerusalemme incontrò Maria e Giuseppe alle porte del Tempio, chiese loro di poter prendere il bimbo in braccio, lo benedisse e gli preannunciò grandi cose. Ci crediate o meno, la conformità di Francesco a Cristo passò anche grazie a questo racconto. Cosa dire? Io sto col beato Egidio, che alle mie celie avrebbe risposto: «Bò bò bò, tanto dico poco fo». Risalendo al 1882 lo si direbbe un dipinto antiquato, come a dire che non segue la moda impressionista che stava allora affacciandosi. E invece la maniera in auge nella Roma di fine Ottocento fu proprio quella dei pittori Nazareni, i famosi Puristi che all’arrivo di Napoleone avevano lasciato Vienna per raggiungere Roma, dove studiare Raffaello e il suo maestro Pietro Perugino, ma anche per cercare ispirazione nei Fioretti di san Francesco, storia del pellegrino compresa. Non a caso il più famoso del gruppo, Federico Overbeck da Lubecca, si offrì nel 1829 di dipingere sulla fronte della Porziuncola, gratis et amore Dei, la storia del Perdono. Franz De Rohden al contrario si fece pagare, ma si rifece anch’egli alla maniera luminosa e amabile di Raffaello, lasciandoci una bellissima favola alle pareti della cattedrale di San Rufino.