Come promesso pubblichiamo gli atti del convegno “Fortini, Astengo: e poi? Il cammino lento verso il 2026”, che si è tenuto alla Sala della Conciliazione il 29 ottobre 2022, organizzato da Assisi Mia. Cominciamo con la relazione di Ezio Genovesi. Le altre verranno pubblicate le prossime settimane sempre di lunedì.
Breve resoconto delle condizioni materiali di Assisi al tempo del Piano Regolatore Generale di Astengo e della legge speciale 976/1957.
«Tutto in Assisi si presenta in penoso abbandono, lasciato al naturale deperimento o leso dalle offese di ieri e di oggi». Lo stato della città reso nel preambolo della legge Ermini-Jervolino 976/1957, potrà anche essere troppo stringato e generico, ma non per questo meno vero e allarmante.
D’altra parte l’immagine poteva estendersi quasi all’intera regione, posta nel cuore della penisola, ma paradossalmente ai suoi margini. Tagliata fuori dalle vie di comunicazione principali, l’Umbria era afflitta da una endemica depressione economica. Tanto è vero che, nel secondo dopoguerra, continui furono i tentativi delle forze politiche —di fatto deboli nei numeri— di far passare l’autostrada A1 all’interno della regione. Così come pressante fu la richiesta di elettrificare le linee ferroviarie Terontola-Foligno e Terni-Rieti, e di raddoppiare il tratto Orte-Falconara. L’inclusione della regione nei benefici della cosiddetta Cassa per il Mezzogiorno (L. 646/1950) o l’estensione della “zona montana” (Legge 991/1947) erano le altre deroghe —mai accolte— che potessero sollevare le condizioni di buona parte della popolazione dallo stato di indigenza.
Ad un convegno economico-politico, promosso dal comitato provinciale della Democrazia Cristiana a Santa Maria degli Angeli il 27 gennaio 1957, in presenza del Ministro degli Interni Fernando Tambroni, il sindaco Francesco Ardizzone leggeva una relazione in cui riassumeva la gravità dello stato delle cose. Quei dati sono qui integrati dal programma dello stesso Ardizzone quale candidato della D.C. alle elezioni amministrative del maggio 1956 [«La Voce», IV, 19 (13 maggio1956), p. 2] e da altri articoli apparsi sulle pagine locali di diversi quotidiani, attenti a questo tema.
Su 4.944 famiglie residenti nel Comune, per una popolazione di circa 26.000 persone, 2.870 vivevano con un reddito al di sotto di 300.000 lire annue, mentre 1.799 avevano con un reddito annuo di 100.000 lire o meno. Se si tiene conto che, in pari data, un operaio della Tipografia Zubboli percepiva uno stipendio mensile netto di 18.000 lire (annuo c. 230.000 lire), si può avere lampante la realtà espressa da quelle cifre. A confronto si possono usare i dati riportati nel Piano Regolatore Generale di Assisi (PRG) di Astengo pubblicato nel 1958, secondo cui il reddito medio annuo a persona era di 68.000 lire nette. Dunque una famiglia stimata di 4 componenti (la media era di circa 4,3 componenti per nucleo) aveva un reddito annuo di c. 272.000.
A ulteriore prova della indigenza diffusa, il sindaco Ardizzone faceva osservare che nel decennio 1946-1956 la spesa pubblica per l’assistenza ai poveri ammontava a 167.819.503 lire, cioè oltre il 50% dell’indebitamento del Comune. Quel fardello non lasciava alcuna possibilità di operare sgravi fiscali per le imprese, osservava il Sindaco. Senza poi contare che il credito era scarso e il costo del denaro molto alto; il che non facilitava l’avvio di un qualsiasi processo produttivo. Un altro indicatore dell’aumento dell’indigenza era il progressivo calo dei consumi nel quadriennio 1953-1956, per i quali erano usati quali campioni il vino e i tessuti. La calaverna che colpì quasi l’intera penisola nell’inverno 1955-56 provocò il disseccamento del 70% degli olivi in Umbria e danneggiò anche gli altri raccolti. Così l’Ente Comunale di Assistenza fu costretto ad intervenire con consistenti donazioni supplementari di viveri e vestiario. Infine il dato della disoccupazione. Ufficialmente era fissato al 6% della popolazione attiva — non gravissimo se visto nell’ottica dell’economia italiana nel lungo corso. In realtà esso non includeva il settore agricolo per il quale non vi erano cifre rilevate, né teneva conto dei lavori stagionali, specialmente nel settore del turismo.
Le basi ataviche dell’economica erano l’agricoltura e l’allevamento. Insieme producevano oltre il 50% del reddito dell’intero Comune, con occupazione ben al di sopra di quella percentuale. Tuttavia si assisteva ad un progressivo spopolamento delle zone montane e dell’alta collina. Nel decennio 1946-1956 vi era stato un esodo dalla terra di 1.321 persone attive per le condizioni disagiate dovute al basso reddito, alla mancanza di elettricità, di acqua e alle pessime condizioni delle strade. Il settimanale «La Voce» [I, 6 (7 febbraio 19 54) p. 2] mostrava delle foto di malati che venivano trasportati al punto stradale più vicino adagiati su una treggia, o a dorso di mulo, e un bambino portato dal padre sulle spalle fino allo studio del dottore.
Ardizzone rilevava poi la disfunzione operativa tra centri produttivi e mercato. Ad esempio, il legno tagliato nella zona di Porziano veniva portato fuori del Comune, a Valfabbrica, per farne traversine per la ferrovia. I prodotti agricoli e d’allevamento della zona di Petrignano erano venduti al mercato di Bastia; quelli della zona di Rivotorto andavano a finire nel mercato di Foligno. Così i ristoratori di Assisi, per mancanza di un mercato locale, erano costretti a rifornirsi a Bastia o a Foligno.
Scarsa l’industria che era ben al di sotto dei parametri nazionali [Franco Aristei, Note sull’economia assisana, AAPS, V, 2 (dicembre 1955), pp. 81-85]. Stando alle stime occupava l’8%della popolazione attiva, contro la media del 25% nell’intero paese. Intorno a Santa Maria degli Angeli, il luogo meglio posizionato rispetto alle vie di comunicazione locali, si contavano gli stabilimenti Montecatini, Briziarelli, Tacconi e Cipolla; a Petrignano vi era quello di Cicogna. Le attività imprenditoriali stentavano comunque a decollare, sia per la difficoltà nella concessione dei prestiti da parte degli istituti di credito, sia per mancanza di mano d’opera specializzata. Il che rimandava ad un generale fenomeno di scarsa istruzione scolastica, in particolare quella tecnico-scientifica. Un altro 7% degli adulti attivi risultava poi occupato nei piccoli esercizi commerciali, negli studi di professioni, negli impieghi di enti e servizi pubblici.
Il turismo era la voce più promettente dell’economia. Il fenomeno dei visitatori era stato percepibile lungo tutto il XIX, ma con addensamento del fenomeno nella sua parte finale. Poi aveva avuto una vera impennata con l’anno francescano del 1926-27, dietro la spinta promotrice del Sindaco e poi Podestà Arnaldo Fortini. A parte l’eccezionalità di quei due anni, il flusso turistico si tenne a buoni livelli di affari per alberghi, ristoranti e negozi di souvenir negli anni successivi. Comprensibile il calo durante e subito dopo la guerra. Ci fu però una straordinaria affluenza di fedeli e curiosi accorsi per vedere la statua acroteriale della Madonna di Santa Maria degli Angeli che fu vista muoversi dal piedistallo, per tutto il 1948. E anche l’evento dell’Anno Santo (1950) fece registrare numeri soddisfacenti con 98.000 presenze, rispetto a una ricettività alberghiera di 1.500 persone.
I settimanali «La Voce» e «Centro Italia» seguirono con attenzione e preoccupazione la successiva diminuzione delle presenze dei turisti che andava in senso contrario alle ottimistiche aspettative degli operatori, fino ad una ripresa timida dal 1958 e poi, a seguire, sempre più consistente. Si auspicava una migliore organizzazione dei servizi —per facilitare la visita ai santuari francescani nei dintorni del capoluogo, ad esempio— e una capillare pubblicità con materiale illustrativo e informativo in più lingue da parte dell’Azienda autonoma per il Turismo. Ugualmente si invitata ad una seria professionalità nell’accoglienza da parte del personale alberghiero e della ristorazione in modo da soddisfare pienamente i clienti e lasciare una buona impressione. Si chiedeva all’Amministrazione di promuovere iniziative per attirare i turisti e per convincerli a prolungare il soggiorno in città. Anche in questo senso si devono registrare i corsi e i convegni di tematiche religiose di organizzazioni quali l’Oasi del Sacro Cuore, il Cenacolo francescano e soprattutto la Pro Civitate Christiana. Risvolti turistici presentava anche il Calendimaggio, una rievocazione medievale in costume della festa di Primavera iniziata nel 1954.
Le botteghe artigiane (ceramica, ferro battuto, rami, ricami a punto Assisi, tipografia e legatoria, estrazione e lavorazione della pietra e altro) si trovavano in grave difficoltà sotto l’assalto della produzione di massa o della progettazione industriale di alto profilo qualitativo. L’artigianato era rimasto legato alla tradizione, non propenso, per le intrinseche dimensioni della bottega e per mancanza di capitali, a svilupparsi come azienda industriale. Pertanto esso era ormai legato alla nuova clientela del turista benestante, il quale vedeva i suoi prodotti come un souvenir di qualità artistica e ne poteva sopportare il costo [Giovanni Cardelli, L’artigianato assisano e i suoi problemi, AAPS, Nuova serie (aprile 1954), pp. 24-28]. A contrastare la tendenza negativa fu promossa la rassegna annuale 3A (Assisi, Arte, Artigianato). Si invitavano gli operatori del settore a mostrare nei locali del Comune i loro migliori prodotti al fine di promuovere il raffronto e stimolare le capacità inventive, nonché attirare possibili acquirenti. Premi in denaro e menzioni d’onore erano assegnati ai partecipanti più meritevoli.
A tratti molto larghi, tale era la situazione dell’economia vista dall’interno della città. Ben più dettagliato era lo scenario che, in parallelo, andava configurando Giovanni Astengo per redigere il piano regolatore di Assisi. Pur nelle notevoli differenze di rilevazione, estensione e organizzazione dei dati, i due documenti rappresentavano una comunità dove esistevano ampie zone di grave indigenza.
Il PRG era lo strumento che doveva porre ordine all’attività edificatoria del territorio del Comune sulla base della legge 1150/1942, la quale non era ancora pervenuta ai suoi effetti a causa del conflitto. Assisi era stata scelta tra i primi cento Comuni d’Italia e anzi doveva essere quello che avrebbe approntato un piano pilota. Va detto per inciso che già nel 1950 l’architetto Giuseppe Meccoli aveva presentato al Comune un suo progetto di piano regolatore, però esso non fu mai discusso dalla Giunta [Antonio Rossi, Il problema edilizio e architettonico di Assisi, AAPS, Nuova serie (aprile 1954), pp. 18-23].
Nell’aprile del 1955, il sindaco Giovanni Cardelli affidò l’incarico a Giovanni Astengo, forse su indicazione del Ministero dei Lavori Pubblici per il quale l’architetto aveva collaborato nella pubblicazione dello studio I piani regionali. Criteri di indirizzo per lo studio dei Piani territoriali di coordinamento in Italia (1952-53). In particolare, Astengo aveva stilato i criteri di applicazione di tecniche di rilevamento e di rappresentazione dei dati raccolti, propedeutici alla redazione dei piani urbanistici. Ad ogni modo il suo nome era preceduto da una indiscussa reputazione, tanto che la stampa lo definiva «architetto di fama nazionale» [«La Voce», II, 16 (4 aprile 1955), p. 2]
Il piano ebbe una elaborazione spedita, messa in cantiere da un ufficio appositamente istituito dal Comune, sotto la direzione dell’architetto che realizzò il PRG e due piani particolari in 27 mesi di lavoro, con l’iniziale sostegno del nuovo sindaco Francesco Ardizzone. Il progetto fu esposto alle osservazioni dei cittadini nel novembre 1957. Il Consiglio comunale lo approvò nel marzo 1958. Ma nel frattempo erano state sollevate ben 76 obbiezioni e si era letteralmente scatenata una campagna stampa avversa al progetto. Il Consiglio comunale votò una delibera che lo rigettava nel febbraio 1959, sollevando l’architetto dal suo mandato e mettendo così in crisi l’intera procedura. Il Ministero dei Lavori Pubblici restituì al Comune l’elaborato raccomandando emendamenti e correzioni ma senza specifiche indicazioni. Dopo un lungo periodo di vuoto, il sindaco Romeo Cianchetta dava un nuovo incarico ad Astengo per rivedere il progetto nel 1962. Deliberato dal Consiglio comunale nel 1966, approvato dal Ministero nel 1969, fu in effettiva attuazione dal 1972. A dire di una gestazione alquanto problematica durata 17 anni.
Non è possibile riassumere la poderosa mole di lavoro effettuata da Astengo e dai suoi collaboratori, ma solo tentare di tracciare i punti salienti del PRG. Il primo obbiettivo era un migliore collegamento viario tra le aree di montagna, di collina, di pianura con il capoluogo e le frazioni, insieme alla la designazione di aree industriali attorno a Rivotorto e Petrignano. Il piano stabiliva ancora il consolidamento e il risanamento dei cosiddetti Castelli (le frazioni con spiccate qualità storico-architettoniche) e del quartiere di Piazza Nuova, evitando il tanto deprecato “falso antico” ma con cauti innesti di costruzioni moderne nel tessuto preesistente. In città prevedeva tre aree di parcheggio: San Francesco, Fosso cupo, Conca di Mojano, quest’ultima collegata al Mercato coperto previsto in quell’area. In generale, poi, i nuovi edifici non dovevano superare il secondo piano. Si stabiliva inoltre un cono paesistico intorno ad Assisi e alle frazioni, a seguito delle disposizioni del Soprintendente Gisberto Martelli emanate nel 1953, coerenti con la legge 1497/1939, che impediva ogni tipo di costruzione entro quell’area.
In perfetta buona fede etica e professionale, Astengo incorporava la missione dell’urbanista volta a ordinare e integrare centro, frazioni e territorio e però anche a creare le premesse per una vivibilità migliore e con essa anche cittadini migliori. Sia chiaro, Astengo era un tecnico con nessuna responsabilità di governo, posizione che non gli impedì di essere preso nel vortice delle pressioni economiche, delle reazioni politiche a quelle pressioni, e anche dei malumori dei tecnici del luogo — con ragione a volte, a torto altre. In Assisi egli sferzava gli interventi degli inizi ‘900 che «portano una sola impronta, quella della confusione delle idee e della vandalica distruzione», e più ancora quelli operati nel ventennio di Fortini, anche se ne salvava il nome (o era una damnatio memoriae?): «I risultati delle moli enormi e di tutti gli archi falsi di quel tempo sono ora presenti nell’organismo della città come altrettanti corpi estranei. L’ambiente unitario e genuino è stato rotto, le brutture maggiori hanno generato le minori…». Prevedeva un’economia comunale integrata e lo faceva con lo spirito che animava l’Italia della ripresa nel dopoguerra. Credeva nel progresso tecnico-industriale ma, pur capendone la necessità, avvertiva forse il lontano timore che avrebbe preso un inarrestabile sopravvento. La fiducia negli strumenti della scienza che aveva contribuito a forgiare era associata alla forza di volontà e di completa dedizione al lavoro. Non andava neppure esclusa l’aura del taumaturgo capace, per moderna divinazione, di sanare il corpo malato.
Proprio sotto la evidenza dei dati drammatici forniti da Ardizzone, nonché delle relazioni di Luciano Radi, Giorgio Spitella e Giuseppe Ermini al convegno sull’economia organizzato delle Camere di Commercio di Perugia e Terni il 13 gennaio 1957, lo stesso Ermini e Angelo Raffaele Jervolino presentavano un disegno di legge speciale per Assisi nel febbraio 1957. L’iniziativa coglieva la città di sorpresa, tanto che i consiglieri comunali si lamentarono di non essere stati informati. A ottobre la legge fu approvata e cominciò l’iter delle norme attuative (L. 796/1957). I contenuti dei 22 articoli riguardavano il risanamento delle infrastrutture; il risanamento e il consolidamento delle abitazioni private, con contributi a fondo perduto fino al 60% per edifici di pregio storico e architettonico; l’esenzione totale dalle tasse per 10 anni a favore di quelle imprese che trasferivano o creavano nuovi impianti nelle zone prescelte del territorio; elasticità nell’estensione delle aree industriali; possibilità, previa approvazione della Soprintendenza, di espansioni e sopraelevazioni degli edifici in caso di previsione di incremento degli affari. In definitiva la legge assegnava ad Assisi 2 miliardi e 300 milioni di lire nei successivi 10 anni dalla sua attuazione.
Era una provvida o un’allarmante coincidenza che molti punti collimavano con il PRG, il quale era in fase di ultimazione — sarà infatti reso pubblico un mese dopo l’approvazione della legge speciale. Astengo credette nella versione positiva. Infatti riportò il testo integrale della legge nel numero speciale della rivista «Urbanistica», 24-25, 1958, Assisi. Piano generale e piani particolareggiati di primo intervento, convinto di una convergenza virtuosa tra i due strumenti. Previde, infatti, l’istituzione di un ufficio ad hoc che gestisse in armonia quanto previsto sia dalla legge che dal PRG. In verità ci fu una diversa percezione da parte dei cittadini e degli amministratori. Ne era portavoce la stampa. «Il Tempo» 3 ottobre 1957 —la data è alquanto significativa— riassumeva quei sentimenti: Tutta Assisi imbandierata per l’approvazione della legge speciale. Manifestazioni di giubilo in ogni strato della cittadinanza; a sua volta «La Nazione» (14 novembre 1957) in un articolo di Giorgio Basini andava diritta al dunque: Pioggia d’oro sopra Assisi.
Insomma, la legge speciale dispensava denari e benefici. Non solo, mostrava duttilità nei punti strategici e rigorosi del PRG: la possibilità di avere aree industriali molto più ampie e flessibili, la possibilità di sopraelevazione di edifici preesistenti e la non menzione del principio “non altius tollendi“. In altre parole, mentre la legge speciale fu acclamata per i vantaggi che avrebbe apportato e che in effetti portò —senza ora contare gli abusi da parte di imprenditori senza scrupoli che dettero vita a impianti produttivi fittizi— al suo confronto il PRG era sentito come uno strumento coercitivo, che finiva per impedire lo sviluppo economico. Ormai tanto inviso che il settimanale «La Voce» (1° marzo 1959, p. 2) dopo il respingimento titolava «Assisi liberata da un incubo». Identica animosità mostrava la corrispondenza di Piero Magi per il quotidiano «La Nazione» [28 febbraio 1959]: «Con settantasei colpi di cannone affondato a Assisi il Piano Regolatore». Alle critiche dei tecnici, dei costruttori, degli operatori turistici e di molti cittadini si sommava anche la giustificazione della maggioranza in Consiglio comunale, secondo cui era opportuno attendere l’approvazione del piano paesistico —fermo tra le carte del Ministero— che avrebbe potuto cambiare le cose e dunque riportare il PRG alla linea di partenza. Tutte queste ragioni determinarono la “bruciante sconfitta” dell’operato di Astengo nel 1959. A nulla valse allora la difesa di eminenti voci della conservazione del patrimonio culturale, dell’architettura e dell’urbanistica in Italia di quel momento, da Luigi Piccinato a Bruno Zevi, da Antonio Cederna a Cesare Brandi a Lionello Venturi.
Tuttavia la storia, certe volte, se non salda il conto subito almeno ascrive il credito nel suo libro. «La rilevanza assunta dal piano anche nell’urbanistica italiana è sottolineata dalla storiografia successiva e dai riconoscimenti che l’urbanista torinese riceve per questo lavoro: il premio Olivetti del 1958 e tre anni dopo il premio regionale dell’Inarch-Umbria. L’esperienza di Assisi troverà una più soddisfacente conclusione dieci anni dopo, quando nel 1963 gli verrà affidato un nuovo incarico per il piano regolatore.» [https://www.inu.it/giovanni-astengo/ visitato ottobre 2022]. Il sito dovrebbe aggiungere: quando ormai Assisi, nella sua interità di capoluogo e territorio, non era più la stessa, avviata sulla via di un benessere portato dal boom economico dell’intero Paese. Ma non sembrava a quel punto in grado o forse preferiva evitare, di confrontarsi con il passato di ieri, e meno che meno tentare di immaginare quale Assisi avrebbe voluto essere domani.