Alla fine i Convittori di Assisi – di ogni tempo – li riconoscevi non solo dall’elegante uniforme indossata, o dal dialetto che ne svelava la provenienza da altre Regioni o dall’incedere a gruppi quando approdavano in piazza del Comune. Era dallo sguardo che riuscivi a carpire con esattezza la loro condizione sospesa. Perché, scrutandone gli occhi, le parole che vi si potevano leggere dentro – in ogni tempo – erano sempre identiche: “nostalgia” e “distanza”.
Per quanto si riconoscessero come “figli” anche del Convitto e “fratelli” anche degli altri compagni – nel personale status familiae interiore -, i Convittori non abbandonavano mai la consapevolezza di stare convivendo anche con l’assenza della propria famiglia.
Perciò, quando ricevevano la visita di un genitore (chi aveva in dono il non essere orfano) o di un parente (uno zio o un fratello più grande), accadeva ogni volta un piccolo miracolo spazio-temporale, dove le vite coinvolte venivano ricondotte all’unità primordiale come se non fossero mai state separate.
L’arrivo dei famigliari – fatti accomodare nella sala d’aspetto accanto al refettorio – era comunicato dal Portiere all’Istitutore della Squadra di appartenenza, che così informava il Convittore della visita. Da quel momento l’agitazione, che nei giorni precedenti aveva assunto la forma di felice aspettativa del breve tempo da condividere assieme, mutava in desiderio furioso di riappropriarsi della propria identità. Ogni passo mosso verso la sala d’aspetto, sempre più veloce, era un atto che colmava la distanza dagli odori dai colori dalla fisicità di chi era impastato dello stesso sangue. Finché quella corsa non si arrestava finalmente appagata davanti alla porta, varco temporale tra due mo(n)di di sé, e una mano ne girava la maniglia per tornare a casa.
Brevi note etimologiche a cura di Carla Gambacorta
Visita, ‘atto del visitare’, è deverbale di visitare ‘andare a vedere spesso’, in latino verbo frequentativo (che esprime cioè ripetizione) di visere ‘recarsi per vedere’, derivato di visum, supino di videre ‘vedere, osservare, guardare’. Il primo e più diffuso significato è ‘l’andare a trovare qualcuno per amicizia, per affetto, per conforto, per cortesia, per compagnia, ecc.’.
Suggerimento musicale a cura di Franco Rossetti e Claudia Rossetti
Forse la visita più celebre della canzone italiana moderna, quella del re senza corona e senza scorta che bussa alla porta di Marinella. Ora sappiamo che la realtà fu molto diversa, ma la sublimazione poetica di un crudo fatto di cronaca ci ha regalato un capolavoro, ripreso poi da numerosi artisti, non solo italiani
La canzone di Marinella – Fabrizio De Andrè, 1964