Il pallone, questo oggetto (non sempre) tondo, era un efficace richiamo per i ragazzini assisani degli anni ’60. Bastava sbattere la palla contro un muro per attirare, in pochi minuti, tutti i bambini a portata, farli dividere in due squadre e sfidarsi alla bell’e meglio senza tante regole, ad esaurimento del tempo e delle forze fino a rimanere uno contro uno. Durante le partite poteva (ma era raro, visti i tempi), transitare qualche vettura, il che infastidiva i giocatori che dovevano interrompere le azioni di gioco. Probabilmente è da qui che ha preso origine il dibattito sulla chiusura del traffico.
Accadde che ad uno di questi ragazzini fosse regalato un pallone di cuoio. Vecchio, ma di cuoio! Una rarità che faceva la sua fierezza e la gioia dei compagni. Ma ecco un giorno, verso sera, mentre la partita improvvisata imperversava nella piazza, sopraggiungere in subdolo silenzio una figura nera, tetra, minacciosa.
“Di chi è questa palla?”, proferì. Il ragazzino rispose con un certo orgoglio “È la mia!”. “Datela a me!”, replicò l’uomo con voce cupa. E quindi se la mise in mezzo alle gambe, visto che era in sella ad una Vespa scura. “Sapete che non si può giocare nella piazza?”. Qui tutti capirono cosa voleva dire, e rimasero in silenzio. “Quindi la palla è sequestrata per schiamazzi notturni!”. Qui nessuno capì. “E adesso tornate a casa!”. Questo invece era chiaro, ma il ragazzino aspettava comunque che gli venisse restituita la palla. Invece vide la Vespa, l’uomo e la palla partirsene per la discesa come se niente fosse, inghiottiti dal buio. Mesto rientro a casa.
Due giorni dopo, tornando da scuola il ragazzino trovò il padre con un pallone sottobraccio. Non un nuovo pallone: lo stesso. Prudentemente, non fece domande e si godette la propria ritrovata felicità.