Il termine più nobile per definire la tigna nel calcio è “Garra Charrua”, storica dote dei calciatori uruguagi che ha permesso loro di vincere due mondiali, 1930 e 1950, nonché le olimpiadi 1924 e 1928. Grande rivale l’Argentina: le due nazionali aralde del calcio rioplatense erano entrambe dotate della famosa garra, una combinazione di combattività tecnica e agonismo estremo che non disdegna il fallo astuto e strategico.
E anche il “gran cuore dell’Italia”, per Giovanni Arpino, era la “tipica italica tigna”. Eppure tutti ricordano i vari Rivera, Mazzola, Facchetti, Riva molto piu’ dei Furino e dei Tagnin, tranne che nella famosa filastrocca: Sarti Burgnich Facchetti…
Ma chi sono stati i giocatori di tigna fra i giovanissimi che frequentavano piazzette e campetti d’Assisi negli anni ’60? Allora c’erano San Rufino e Piazzanova, San Pietro e San Giacomo. Nelle prime due il maggior talento Marco Ceccarani, elogiato dall’ immenso Angelillo; poi Carletto Rossi, forse troppo mingherlino come terzino, Furio Campodifiori e Lucio Pecci. San Pietro era più ricca di giocatori tecnici: si fanno ricordare Gianfranco Puntato (poi nei ragazzi del Perugia in serie B), Luciano Fanini, Romualdo Fuso (Buchino) di san Giacomo, i Rossi (Argeo, Andrea, Gianni), Diego Bandinelli, Juston. La tigna non mancava proprio perche’ si conoscevano tutti bene e nessuno ci stava a perdere.
E meritano poi menzione d’onore finale i tanti senza nome che, sia pur disgiunta dalla tecnica, avevano parecchia, ma parecchia tigna.