Ci vuole parecchia immaginazione a pensarlo ora, ma via Bernardo da Quintavalle, dall’angolo della chiesa di san Gregorio alla fine di palazzo Sbaraglini, è stata per parecchio tempo il campo di calcio di una turba di ragazzini.
Il campo di allenamento, beninteso, perché per le grandi occasioni sportive si ricorreva al risicatissimo spazio dietro l’abside della chiesa di Santa Maria Maggiore, pomposamente detto ”il campetto del Vescovado”. Lì due squadre da sei ragazzini urlanti ciascuna, più che giocare a pallone, si urtavano per il poco spazio: minuscolo, ma promosso a campo di gioco regolare.
Le scarpe da gioco erano, semplicemente, quelle indossate la mattina per uscire di casa: altro non c’era! A gran rischio e pericolo del giocatore, perché se poi gli capitava di tornare con le scarpe rotte, allora sì che erano guai…
Nessuno si accorgeva di ciò che mancava, la felicità era quello che si aveva.
Le scarpe da ginnastica (se c’erano) erano riservate alle occasioni speciali: le partite al campetto. Quelle da calcio, un sogno irraggiungibile per quasi tutti.
Ci sono ricordi divertenti, curiosi (e talvolta dolorosi per i protagonisti) che tornano alla mente. Come quando Maurizio, orgoglioso delle sue nuovissime scarpette da calcio a 13 tacchetti di pura gomma, uscì di casa correndo lungo la discesa di via San Gregorio per raggiungere il campo di Via Bernardo, e malauguratamente inciampò, proprio a causa del nuovo acquisto. Volo in aria, caduta a terra, ginocchia e mani sbucciate, ritorno mesto a casa, in rigoroso silenzio per timore della famigerata “giunta”.
Fine dei giochi!