L’unica regola è che non ci sono le regole.
Per noi che giocavamo a calcio, alla palestra sotto Porta Nuova o ai giardinetti, a Piazza Nova o davanti San Rufino fino a salire alla Rocca, era una necessità. Non contavano i moduli o le regole, potevamo giocare con il 3-3-3, il 4-4-4 o il 5-5-5 di Oronzo Canà. Le formazioni venivano scelte dopo il “pari o dispari”. Ma mica undici contro undici.. Pronti via. Tutti assatanati a correre, gigantesche nuvole di polvere. Sembra di sentire ancora le voci di quei “calciatori in erba”. Il fuorigioco? Mai applicato. E poi come dice il saggio “le regole e i modelli distruggono il genio e l’arte”. Tra noi c’era chi veramente toccava il pallone con maestria e classe. Ma potevi essere il peggior scarpone che sia comparso in qualche rettangolo di gioco. Che tempi quelli in cui lottavamo insieme alla palla! Nessuno schema usato, vedevi arrivare il pallone, e se fossi stato in difesa, l’obiettivo sarebbe stato quello di arrivare prima di tutti e calciare per far ripartire l’azione. Come facevano del resto i miti della Serie A. E allora cercavi di carpire qualche segreto guardando la domenica alle 19 sul primo canale Rai la sintesi di una partita del massimo campionato. Marcature rigorosamente a uomo ma vedevi nella televisione in bianco e nero che quei giocatori si muovevano secondo precise regole. Non come noi vera “armata Brancaleone”. Un simbolo di quel calcio era il capitano della Juventus operaia di Heriberto Herrera e il suo “movimiento” Ernesto Castano che nelle figurine Panini sembrava vecchio anche se aveva 27 anni. Sono passati gli anni. I ricordi però restano. Eduardo Galeano, cantore del futbol afferma: “Vado per il mondo col cappello in mano e negli stadi supplico. “Una bella giocata, per l’amor di Dio””. E come dargli torto.