Assisi è uno di quei paeselli, travestiti da città, che in pochi anni sono passati dal “vivere di turismo” al “sopravvivere di turismo”, sostenuta da un fitto corollario di autorevoli santi che, per carità cristiana o per ben più umano campanilismo, le strizzano l’occhio elargendo grazie.
Sdraiata comoda sulla sua collina, più simile ad un presepe che a una meta turistica, attende fiduciosa le orde di turisti in ciabatte, devoti abbastanza da percepire l’odore di santità che la avvolge senza buttar troppo l’occhio sui vicoli coperti di guano, sugli affreschi e le targhe che il tempo e l’incuria hanno scrostato e annerito, sui parchi e i giardini pubblici coi giochi rotti ed i rovi per siepi, sulle serrande abbassate da anni coi vecchi, scoloriti cartelli “affittasi, vendesi!”
Fiera, agli occhi del mondo.
Anziana e stanca, ad occhi più attenti.
Nobile caduta in disgrazia, con un florido passato ed un incerto futuro, guarda con tristezza i suoi figli partire, ad uno ad uno, perché hanno sogni troppo grandi per lei e ricorda nostalgica i tempi in cui dei suoi figli si parlava in tutto il mondo e dei suoi ospiti poteva farsi vanto.
I figli che restano sono quelli che forse la amano un po’ di più, o forse hanno solo meno coraggio e rimangono qui, tra contratti stagionali e lavoretti a chiamata che certo danno da campare, ma di sogni ne lasciano pochi.
Eppure resiste, forte di quella oramai inflazionata benedizione che il Santo, morente, le impartì.
Resiste, con elegante quanto precario equilibrio, serafica ma oramai orfana del suo Pax et Bonum, per amore dei tanti che le vogliono bene proprio come si vuol bene a una madre e per far rabbia agli eterni scontenti, ingrati abitanti di un minuscolo pezzo di patria che non meritano.
Assisi avrà guai, ma non perirà mai.
Il carrozzone – Renato Zero