08 Febbraio 2021

Orfani

Gianfranco Boni
Orfani

Migliaia di famiglie, a quel tempo, erano perlopiù monoreddito: ”e se muore il padre?”, avrà pensato più o meno Raffaello Rossi da Urbania quando, nella seconda metà dell’800, promosse una sottoscrizione per edificare un collegio per gli orfani dei maestri. Ebbe lungimiranza, ma anche un destino beffardo perché non vide mai la sua idea realizzata, mentre la videro i suoi due figli che, da orfani, furono tra i primi convittori accolti il 4 ottobre 1875 nel nuovo Collegio, ad Assisi perché al centro dell’allora Regno d’Italia.
Al pronunciare “orfani” vengono subito in mente i racconti di Dickens o il quadro di Kennington, e con essi la condizione di abbandono e indigenza di un bambino, resa ancor meglio dagli sguardi e dai bisbigli delle persone o dalla prima notte in collegio. Epperò anche gli orfani non erano uguali: la differenza la faceva chi avevi perso, e se era la mamma era peggio giacché l’ambiente, assolutamente maschile, era privo di qualsiasi affettività. Loro erano i più avviliti.
Eppure quelli che via via passarono per il Collegio di Assisi furono comunque fortunati, perché trovarono un ambiente protetto e una città che, con la pur tardiva l’apertura a tutti delle scuole interne al Convitto, ha così definitivamente integrato l’Istituto. Convitto, già. Oggi lo si chiama così, e non più Collegio: è il segno dei tempi, la società è cambiata, gli orfani non ci vengono più e sono svaniti così anche quei piccoli, generosi gesti delle famiglie assisane che la domenica invitavano a pranzo un convittore per farlo sentire un po’ meno solo. Tutti però hanno trovato qui in Assisi, una seconda casa e una seconda città, era un bisogno e ha lasciato a tutti comunque un segno, tanto in quelli che sono partiti quanto in quelli che sono rimasti. Ma queste sono altre storie…

Brevi note etimologiche a cura di Carla Gambacorta

Orfani, plurale di orfano, è voce dotta dal tardo latino orphanum, prestito dal greco orphanos, e ha la stessa radice (sanscrito arbh-) di orbum, che in origine significava infatti ‘privato di un parente’. Ma quest’ultima voce, attraverso espressioni del tipo orbus lumine, acquisì lo stesso senso di caecum ‘cieco’, e da qui la lingua della Chiesa diffuse quindi la voce orfano per indicare ‘chi (specialmente minorenne) ha perduto un genitore o entrambi’.

Suggerimento musicale a cura di Franco Rossetti e Claudia Rossetti

L’assenza di un genitore può farsi sentire in tanti modi, anche come mancanza di un gesto rituale di protezione e di buonanotte.

Ascolto: Quella carezza della seraNew Trolls, 1978

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