L’identità dei luoghi, e così quella delle persone, è spesso influenzata da scelte basate sul criterio della convenienza. L’opportunità che appare oggi più vantaggiosa va colta al volo, poco importa se più avanti si convertirà in un vincolo, in una costrizione.
Il sottrarsi ad uno stato di subordinazione, e quindi autodeterminarsi, non è sempre o per tutti l’opzione più attraente. Riflettendo su Assisi viene da chiedersi, per esempio, come mettere a frutto gli istinti “eversivi” che animano tanti dei contributi raccolti in questa rubrica. Da cosa pensiamo di dover liberare la città?
La prima risposta —che ne include molte— è la più ovvia: dalla sua immagine, ormai stanca e appannata, di città della monocoltura turistica, della pace e del pellegrino, delle buone intenzioni e delle abitudini di chi ha prosperato senza saper guardare oltre l’ennesima orda di acquirenti. Osservazioni sterili, al limite della retorica, è evidente. Eppure l’esigenza di trasformare Assisi in qualcosa di diverso è concreta, soprattutto tra i giovani, cioè quella parte di popolazione più ambiziosa e perciò disillusa.
Per chi oggi ha tra i venti e i trent’anni l’indipendenza diventa spesso sinonimo di autosufficienza: incapaci di mantenersi, non valorizzati, costretti a interminabili gavette giustificate dal mantra del sacrificio. Flessibilità, determinazione, leadership: gli slanci morali richiesti nelle battaglie quotidiane da chi, astutamente, non offre solo un lavoro, ma un’esperienza, un’occasione per accrescere la propria autostima e ottenere (forse) un giorno la giusta ricompensa. Una miscela a base di opportunismo e anglicismi ammiccanti con cui si torna al punto di partenza: il privilegio del poter scegliere può essere onorato anche con il rifiuto —sofferto— dell’opzione più allettante.
Brevi note etimologiche a cura di Carla Gambacorta
Indipendenza si origina da indipendente, composto del prefisso in– con valore di negazione e dipendente, participio presente di dipendere, dal latino dependere, con cambiamento di coniugazione e in italiano normale chiusura in i della e protonica (cioè posta prima dell’accento). Inizialmente era voce teologica, in quanto possibile attributo solo di Dio. Soprattutto a séguito delle varie guerre di indipendenza (a partire da quella americana) ha assunto dapprima carattere politico e poi il divulgativo ‘condizione di autonomia’.
Suggerimento musicale a cura di Filippo Comparozzi
Somebody That I Used to Know è il singolo, estratto da Making Mirrors, di Wouter Wally De Backer, in arte Gotye. La voce femminile è quella di Kimbra, una cantante neozelandese.Il significato della canzone è racchiuso tutto in quell’ultima frase “Now you’re just somebody that I used to know” (ora sei solo qualcuna che conoscevo).La canzone racconta di un amore finito e di ciò che spesso intercorre tra due persone quando il rapporto di vicinanza e sentimento termina e si vive quell’improvviso innaturale distacco.
Somebody That I Used to Know – Gotye