16 Luglio 2024

Sarawak

Francesco Berni
Sarawak

L’aria è serena lungo il fiume Sarawak, il verde trabocca dominando la scena, cammino in santa pace, finalmente.
Cosa rara nella malesia peninsulare.
Kuching è diversa, orgogliosamente incastonata tra parchi naturali,
perla raffinata del borneo, la città è legata ad un filo di acqua al suo profondo entroterra.
Ci si sente a proprio agio nello suo scorrere lento e posato.
Atterro in piena notte, Sandra si aggira impaziente nella sezione arrivi, cattolica praticante di origini cinesi, vive a Kuching da sempre con i suoi quattro figli e il suo schivo compagno tedesco.
Ride in modo composto ma contagioso, mangia in continuazione nonostante la sua magra costituzione, ‘I love to eat across my city with friends’.
Ci siamo conosciuti anni fa tra le strade di Salonicco.
Le piace godersi la vita, incontra persone sul web, gioca in borsa, porta avanti la sua attività di consulente.
Sandra sa il fatto suo, come molti malesi di origine cinese.
Mi accoglie portandomi alle due di notte in un food court, spazi nel nulla in cui si affacciano chioschi con cibo da strada.
Sembra che non facciano altro qui.
La città ha un bel lungo fiume, la sera molti si ritrovano qui, si assiste a giochi di acqua e spettacoli di luci.
Si tratta di ragazzi e famiglie malesi, principalmente con background locale.
Il Borneo è un crogiuolo di minoranze, Baruk, famosi cacciatori di teste che vivono nelle foreste,
Kalabit, con la loro idea di universo a tre livelli con i guerrieri in alto, Melanau, che immaginano il mondo come un uovo diviso in tre parti, Iban, con i loro tatuaggi lungo il collo e le bellissime long house, case condominio in legno sviluppate in lunghezza, che ospitano fino a duecento persone.
A Kuching, vivono molti Iban ormai inurbati insieme a cinesi, indiani e altri malesi.
La città è affacciata lungo il corso d’acqua, il nucleo antico si sviluppa tra vie parallele con deliziosi edifici a due piani, botteghe e ristoranti dove perdersi tra odori e sguardi.
Le persone sono molto socievoli e accoglienti.
Fuori città domina il verde, interrotto da una sgarbata periferia piena di mall e palazzoni,
ammasso informe di edifici senza spazi pubblici che tende a rarefarsi verso le montagne.
Sandra mi racconta come qui ci si sposta solo in auto, la vita scorre tra centri commerciali irrorati da venti siberiani dei condizionatori e ristoranti economici dove mangiare a qualsiasi ora persi tra i mille rivoli di questa piccola capitale.
Qui ritrovo Miguel, Luis e Lucia, ragazzi spagnoli che ho conosciuto nella tappa precedente dove alloggiavamo tutti in un lodge in legno e lamiera in mezzo alla foresta nel parco di Mulu.
Sandra ci porta tutti a cena.
Arriva con la sua macchina scassata, il sedile davanti non sta in piedi, collassa continuamente durante il viaggio.
‘Sandra, Your car is perfect for the first meeting with someone!’
Tutti scoppiano in una grassa risata.
Andiamo al Sarawak Club, un luogo esclusivo aperto solo a membri, ma anche noi siamo ammessi come amici di Sandra.
Siamo vestiti da battaglia, guardo i ragazzi cercando di trattenermi dal ridere.
L’edificio è in stile coloniale, alterna spazi chiusi a grande verande ariose, ci sono tante persone che parlano in modo composto, sono quali tutti malesi di origini cinesi, all’ingresso c’è una lista di persone in una bacheca con fotografie di piccolo formato.
‘Who are they?’
‘Applicants for being a member’
‘Really, how do I become a member here?’
‘It is a long process, you have to be accept by the others’
Il luogo è una bolla sociale per la componente cinese benestante, dove sembra rivivere un tempo passato in cui il Sarawak era sotto la corona britannica.
Arriva la figlia di Sandra, si chiama Sara.
Ha appena staccato dal lavoro, è una ragazzotta di venticinque anni, gioviale e accogliente, prende in giro la mamma perché mangia in continuazione, lavora in un locale costoso fuori città come cameriera.
Il suo desiderio più grande è andarsene, scoprire il mondo.
I giovani sono molto attratti dall’Europa,
vedono il nostro continente come un luogo in cui divertirsi o studiare, i loro genitori ci percepiscono come una realtà in decadenza, guerra in Ucraina, immigrazione, ma la cosa che mi colpisce e la questione dei diritti, percepiti quasi come forma di debolezza.
Ascolto allibito le parole di Sandra, lei mi restituisce un’immagine di un continente di rammolliti, in preda ai flussi migratori e alla utopica credenza di dare diritti a tutti.
Basta sono stanco, cambiamo discorso.

Francesco Berni

Urbanista. Consulente del Comune di Milano per progetti di rigenerazione urbana e innovazione sociale. Ho lavorato per enti pubblici e privati nel campo della progettazione e pianificazione urbanistica. Svolgo attività di studio e ricerca presso il Dipartimento di Architettura DIDA dell’Università degli Studi di Firenze su temi legati alla rigenerazione urbana, innovazione sociale e disegno della città. Appena posso però me ne torno tra i vicoli di Assisi.

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