04 Febbraio 2025

Il senso del miraggio

Francesco Berni
Il senso del miraggio

Maharshi Ramana è stato un maestro spirituale centrale nella filosofia Advaita Vedanta.

I suoi insegnamenti, incentrati sull’autoindagine racchiusa nella domanda ‘Chi sono io?’, guidano ancora oggi molti alla realizzazione del Sé, oltre l’ego e l’identificazione con il corpo e la mente.

Sto andando verso il suo ashram, appena fuori città. Osservo le montagne che abbracciano Tiruvannamalai.

Il confine tra la roccia e il cielo non è netto, ma sfumato, come se la luce stessa esitasse prima di separare le cose.

Le ombre si dissolvono in riflessi morbidi, l’aria vibra in un chiarore sospeso, acquoso.

Non è una luce che incide, ma che avvolge.

Non illumina, ma suggerisce.

Non svela, ma confonde.

Sembra scolpita su un altro tempo, come un’eco della non-dualità che permea la filosofia indiana.

Eppure, in questo paesaggio che si dissolve in sé stesso, mi accorgo di cosa mi manca davvero di casa.

Non il cibo, né le persone, né i libri.

Mi manca la luce chiara e tagliente.

Quella che incide i contorni, che disegna le cose con nitidezza, che obbliga a confrontarsi con il mondo senza scampo.

Mi era successo anche dopo mesi a Londra, immerso in quella luce invernale malinconica, riflessa nelle finestre vittoriane come un pensiero che si ritrae.

Sorseggio un chai, perso in questi pensieri, quando un ragazzo mi chiede se può sedersi.

Si chiama David, viene da Pretoria, Sudafrica.

Ha origini anglosassoni ed è un insegnante di meditazione.

Ogni anno viene a Tiruvannamalai, un luogo sacro per questa pratica.

Parliamo di tecniche, di approcci, delle diverse scuole.

Alla base di tutto, c’è un diverso modo di concepire la realtà fenomenica.

Per l’Advaita Vedanta, a cui appartiene Ramana Maharshi, la meditazione è uno ‘step back’: un ritiro dalla realtà per riconoscere l’Assoluto.

Il mondo fenomenico è maya, illusione, e l’unico scopo è discernere ciò che è eterno da ciò che è transitorio.

Il tantrismo shivaita del Kashmir, intriso di sufismo invece, assume una postura opposta: la meditazione è uno ‘step forward’, un’immersione nella realtà per cogliere il divino in ogni cosa. Nulla è illusione, perché tutto è espressione del divino. Qui la separazione tra microcosmo e macrocosmo si dissolve.

Se proviamo a spazializzare questi approcci, possiamo immaginarli come due estremi della stessa linea.

Al centro c’è il Buddhismo che, diversamente dagli altri, si concentra sul ‘qui e ora’, evitando ogni speculazione su un principio assoluto.

Il passato e il futuro sono solo fonti di sofferenza.

David mi suggerisce un esercizio.

“Close your eyes and listen to the sounds around you. Don’t judge them, don’t interpret them. Observe without interfering.

You’ll see, it’s good training.”

Ci incamminiamo verso l’ashram.

Dentro, un’oasi di pace. Europei e indiani camminano scalzi, il silenzio è fitto, vibrante.

Mi siedo.

Chiudo gli occhi.

Inspiro.

Espiro.

Sento il pavimento freddo. Le voci rimbombano. Un bambino che corre. Un dialogo in francese.

Il secco schiocco di un ginocchio che si piega. Il fruscio di un abito di cotone.

I miei pensieri si accavallano, cerco di osservarli mentre scorrono.

Senza trattenerli, senza respingerli.

Un velo si solleva.

E il vento lo porta via.

Apro gli occhi,

mi alzo lasciando David a meditare.

 

Francesco Berni

Urbanista. Consulente del Comune di Milano per progetti di rigenerazione urbana e innovazione sociale. Ho lavorato per enti pubblici e privati nel campo della progettazione e pianificazione urbanistica. Svolgo attività di studio e ricerca presso il Dipartimento di Architettura DIDA dell’Università degli Studi di Firenze su temi legati alla rigenerazione urbana, innovazione sociale e disegno della città. Appena posso però me ne torno tra i vicoli di Assisi.

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