21 Gennaio 2025

Mumbai e il presidente

Francesco Berni
Mumbai e il presidente

Non vedevo l’ora di tornare. Questa città mi affascina profondamente, forse perché ricorda una Londra estiva affacciata sul mare, ma senza spocchia, senza pretese. Qui tutto sembra consumato dal tempo, marcito in superficie, eppure vivo, vibrante.

Mumbai è un formicaio che non si ferma mai. Non si nasconde, non cela la propria povertà o le sue contraddizioni. Le sue strade non dividono nettamente il pulito dallo sporco, il bello dal brutto. Tutto è un’unica realtà. È il principio di non-dualità incarnato in una città: la sporcizia, i mendicanti, la vita e la miseria convivono senza maschere, senza vergogna.

A Colaba, camminiamo tra mercati affollati e baraccopoli, dove porto Giulia per mostrarle una parte di questa città meno esplorata dai turisti. Le stradine sono un intreccio di odori pungenti: escrementi, fogna e cibo si alternano, invadendo l’aria in modo intermittente. Intorno a noi, anziani e bambini siedono davanti alle loro case precarie, mentre motorini, capre e viandanti riempiono ogni angolo dello spazio.

Alla fine della strada, la vista si apre sulla baia di Mumbai. Una spiaggia di rifiuti si estende fino al mare, dove le barche sono ormeggiate nel fango. Sullo sfondo, il Taj Mahal Hotel e l’India Gate sembrano quasi irreali in quel contesto. È uno scenario crudele, eppure addolcito dai bambini che fanno volare i loro aquiloni colorati. Il contrasto è disarmante: la bellezza e la miseria, unite in un unico respiro.

Mi fermo a giocare con uno di quei bambini, che mi presenta sua nonna. È seduta con altri anziani e mi racconta che oggi è Makara Sankranti, la festa del raccolto. Segna il passaggio del Sole nel segno del Capricorno, un momento di transizione celebrato in tutto il paese. Poco dopo, altre persone si uniscono a noi. Ridiamo, scherziamo. In India, non ti senti mai solo. E forse è proprio questa una delle cose che amo di più di questo paese: qui la solitudine sembra dissolversi.

Più tardi, attraversiamo la stazione di Chhatrapati Shivaji Maharaj, con la sua architettura imponente che ricorda King’s Cross St. Pancras, ma decorata con giganteschi ventilatori. Torniamo nel mio albergo, lo stesso dove avevo soggiornato qualche mese fa. È confortante ritrovare un luogo familiare: i soliti ristoranti, la passeggiata davanti all’India Gate. Questa zona è un piccolo rifugio nel mio continuo vagare.

Con Giulia al mio fianco mi sento più audace. Passiamo davanti a un complesso residenziale parsi e, questa volta, riusciamo a entrare. Il quartiere è ordinato, con campi da gioco curati e un grande tempio zoroastriano. È così ben progettato che non sembra neanche di essere in India. Ma appena usciamo, torniamo nel caos pulsante delle strade.

Ovunque ci sono cartelli: domani arriva il presidente Modi.

L’indomani, mi sveglio presto per andare a fare yoga all’Oval Maidan. C’è una nebbia fitta che avvolge il parco, un caldo umido soffocante. Ogni strada è presidiata da poliziotti con bastoni. Provo a concentrarmi, ma è difficile. Mi sposto verso il bordo del parco, dove i ragazzi giocano a cricket.

Mi lascio distrarre dal loro entusiasmo e finisco rapidamente la sessione.

Va bene così.

Più tardi, mi incontro con Giulia al caffè Olimpia, il mio luogo preferito.

Questo posto, gestito da musulmani indiani, sembra progettato per favorire gli incontri.

I tavoli sono condivisi, uno accanto all’altro, e i camerieri barbuti si muovono con rapidità tra la sala e la cucina. Le pareti in legno raccontano decenni di storie, custodendo conversazioni tra chai [1]e keema [2].

Ci sediamo accanto a un uomo di Goa e a un suo amico di Mumbai.

Sono indù, ma vengono qui ogni giorno per fare colazione. Parliamo del più e del meno.

Poco distante, una ragazza ci sorride prima di augurarci una buona giornata. Porta un bindi delicato sulla fronte, segno di una cultura che abbraccia la spiritualità con naturalezza.

In questo caffè, non ci sono divisioni tra religioni o culture.

Ognuno convive serenamente, unito da un chai zuccherato e dal ritmo frenetico della città. Fuori, il presidente sta per arrivare. Ma qui dentro, il tempo sembra sospeso, come in una fotografia che racconta l’umanità di Mumbai

 

[1] Bevanda calda a base di thè nero e latte

[2] Piatto di carne speziata consumata di solito per colazione.

Francesco Berni

Urbanista. Consulente del Comune di Milano per progetti di rigenerazione urbana e innovazione sociale. Ho lavorato per enti pubblici e privati nel campo della progettazione e pianificazione urbanistica. Svolgo attività di studio e ricerca presso il Dipartimento di Architettura DIDA dell’Università degli Studi di Firenze su temi legati alla rigenerazione urbana, innovazione sociale e disegno della città. Appena posso però me ne torno tra i vicoli di Assisi.

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