Prima di arrivare contatto Matteo.
Ci siamo conosciuti a Firenze durante il periodo universitario.
Si è trasferito a Melbourne dieci anni fa.
Si è sposato con Ursula, australiana di origine ungheresi. Tre anni fa ha comprato una casa nella periferia sud della città.
Un edificio in legno su due piani con un giardinetto all’ingresso dominato da una grande pianta detta ‘bird of paradise’ per i suoi bellissimi fiori che ricordano la testa di un uccello. Dietro, un ‘deck’ porticato affacciato su un altro giardino con l’immancabile barbecue.
‘Dobbiamo metterci mano, rifare la recinzione e togliere tutte queste ‘vines’ [rampicanti]’.
Lotti divisi in un sobborgo silenzioso sommatoria di case simili moltiplicate all’infinito in un sorta di ‘copia incolla’ seriale con Autocad.
‘Abbiamo fatto sacrifici per questo, non è stato semplice. Anche il lavoro adesso va bene!’
Matteo mi racconta, abbassando lo sguardo, come ha cominciato a lavorare nella ristorazione per poi passare all’industria della carne.
‘Ho iniziato dal livello più basso, pulivo le stanze dopo la lavorazione della carne poi piano piano sono salito di livello’.
Dopo qualche anno ha cambiato lavoro, il suo capo era violento.
‘Spesso chi lavora in questo ambiente dove si uccidono tanti animali perde sensibilità, vuole solo ottenere il massimo spremendoti’.
Matteo adesso si occupa di ricerca e innovazione in campo alimentare coordinando un gruppo di collaboratori.
‘Sono riuscito a fare quello per cui ho studiato’.
In questi giorni c’è anche Angelo, suo padre appena atterrato da Firenze che è venuto a trovarlo per tre settimane. Ha settantasette anni e questo probabilmente sarà il suo ultimo viaggio in Australia.
‘L’altro figlio è a Londra, almeno è più vicino, anche se con Matteo c’è un rapporto speciale!’ mi dice mentre guarda le sue grandi mani.
L’immigrazione è uno sradicarsi che ha effetti non solo su chi parte ma anche per chi rimane.
Mentre andiamo in macchina verso Philippe Island mi vengono in mente i volti di tanti giovani italiani pieni di speranza che ho incontrato nei vari ostelli in giro per l’Australia.
Dall’altra sponda, generazioni prima di loro si sforzano oggi di mantenere viva la memoria della tradizione italiana. A Carlton, il quartiere italiano di Melbourne, c’è una comunità italiana attivissima con un centro culturale di primo ordine, un ricco palinsesto di iniziative e corsi di italiano per tutte le età. Il giorno prima avevo incontrato Serena, insegnante romana che lavora al centro italiano da alcuni anni.
‘I corsi di italiano sono sempre pieni, abbiamo tanti bambini ma anche adulti, anche perché viene premiata per l’accesso all’università la conoscenza di una seconda lingua’.
Rimango piacevolmente colpito, è la prima volta che vedo una cosa del genere. La trovo commovente.
In questo mare di ricordi e nuove speranze c’è anche altro. Qualcosa di deludente o forse semplicemente fisiologico.
Ricordo molti ragazzi argentini discendenti di immigrati italiani. Se ne incontrano molti in Australia spesso grazie alle loro origini italiane.
Tanti hanno antenati originari del nostro paese che usano in modo opportunistico semplicemente per prendere il passaporto europeo. Spesso dell’Italia e della sua lingua non sanno assolutamente nulla.
Per uno strano cortocircuito, lo stato Italiano non concede cittadinanza a figli di stranieri nati nel bel paese nonostante siano cresciuti e abbiamo frequentato le scuole nella nostra penisola.
L’immigrazione italiana recente di tanti come Matteo, venuti a cercare fortuna è chiaramente un’altra cosa, ma rimane una domanda aperta: la perdita delle radici è qualcosa di inevitabile nel lungo periodo?