Nella regione dell’Everest, fortezza naturale cinta da montagne maestose, l’aria è fresca risveglia la mente e il corpo ad ogni respiro.
Dopo otto ore di salite e discese tra rododendri in fiore, arrivo a Nunthala.
Un gruppo di case ancorate al sentiero principale verso le alte vette mi accoglie.
Un linea eretta articola gli spazi del villaggio fatti di magri cortili ingentiliti da arbusti e fiori.
Hotel Everest. Mi fermo qui. Eccessivo definirlo così. Eppure una signora sorridente mi accoglie. Ho fame. Non c’è problema. Mi invita ad accomodarmi. Esce nell’orto dietro la cucina. Rientra frettolosa.
Nella stanza c’è sua nipote, una ragazzina smilza dall’inglese forbito.
I suoi occhi vispi sono completamente rapiti dai cartoni animati.
La televisione trasmette principalmente dall’India sceneggiati e programmi per ragazzi.
Tutti capiscono l’hindi.
Il Nepal è un paese lungo e stretto in bilico tra due grandi nazioni.
La Cina ha accresciuto recentemente la sua influenza materiale con investimenti e infrastrutture.
A questo si accompagna un flusso di piccoli imprenditori che tentano la loro fortuna apprendo ristoranti e botteghe.
Mi viene in mente il quartiere tibetano di Boudha a Kathmandu.
La roccaforte identitaria di un popolo scappato da una barbara aggressione.
Qui un piccolo giardino vuole ricordare la fraterna amicizia tra Cina e Nepal,
una gentile donazione del governo di Pechino.
L’influenza culturale è fortemente indiana, la religione, lingua e altro ancora.
Arriva il mio riso fumante con le verdure, finalmente, lo divoro voracemente.
Sono sazio. Provo a scambiare due parole con la ragazza.
Studia a Kathmandu come molti adolescenti di questa povera valle.
Chi ha fatto qualche soldo come guida o albergatore, la prima cosa che fa è spedire i figli a studiare possibilmente all’estero con la speranza che trovino lavoro.
Nunthala è un posto incantato immerso nella pace e nel silenzio, il verde acceso delle montagne domina lo sguardo come la neve delle vette che si confonde con le nuvole.
Eppure per chi ci abita il primo pensiero è andarsene.
Esco. Vado alla scuola in cima al paese.
È stata finanziata da molti paese europei tra cui un’associazione di miei amici italiani.
Mi accoglie il direttore della scuola con tutti gli onori cingendo il mio collo arrossato con una delicata stola gialla in segno di rispetto.
Ringrazio chinando il capo con le mani giunte.
Facciamo un giro a vedere lo spazio.
Varie realtà europee hanno fatto molto qui.
Avete bisogno di qualcosa ancora? Cosa manca?
Le priorità sono definite dall’assemblea dei docenti, risponde il direttore.
Poco dopo scende il sindaco del paese, vuole capire chi sono e cosa cerco.
La sensazione è che per dare una mano vanno rispettate delle gerarchie locali,
altrimenti non si passa.
Ogni mondo è paese.
Un cortile arioso con al centro due porte da calcio ordina lo spazio e gli accessi alle aule.
Le pareti esterne sono coloratissime con magnifici disegni.
Shiv è l’autore. Un giovane insegnante di inglese originario di Waku, un villaggio a cinque ore di cammino da qui. Ha la testa grande, capelli nero corvino, pelle scura e una risata contaminante. Adora dipingere è per qualsiasi cosa che abbia a che fare con l’arte, lui è il referente del villaggio. Ha studiato a Kathmandu per poi tornare. Gli mancava la sua terra ma era giusto andare fuori. Questo è quello che suo padre ha scelto. Lui ha accettato senza alcun dubbio. Sembra sereno. In pace con il suo destino. Veniamo da mondi completamente diversi.
Parliamo molto.
Sono arrivati molti aiuti stranieri a Nunthala, ponti, ospedali e scuole.
Il problema è la loro gestione.
Il governo non ha fondi per pagare gli insegnanti.
Rifletto.
Forse non basta lasciare traccia indelebili,
Namaste.