Seguo le sorti del mondo da una finestra.
Lo schermo di un telefono, da un angolo lontano e sicuro.
Risuonano in me, le parole di una ragazza velata, in treno tra Canberra e Melbourne,
‘This part of the world is safe’
‘I move here with all my family’
‘Now , I can build my life in peace’.
Ci sono tanti rifugiati in Australia e Nuova Zelanda.
Li osservo mentre penso alla nostra vecchia Europa di nuovo in guerra.
Deleghiamo per supportare in modo ipocrito un popolo attaccato ingiustamente, ostaggio di un presidente che tiene al suo potere.
Ci sono ragioni profonde ma adesso è troppo tardi.
Una frase rimbomba nella mia testa, ‘gli avversari non vanno mai umiliati‘ la prima guerra mondiale insegna, ma solo a chi la studia.
Bombardieri su Beirut, una guerra mondiale a pezzi, case e scuole in fiamme nel vicino medio oriente.
Israele attacca, sproporzione e violenza, Gaza in condizioni disperate.
Contro ogni umanità, si negano aiuti umanitari,
ma sono civili, per Dio!
Persone come noi, senza acqua né cibo.
Il fronte si allarga.
Povero Libano, vaso di coccio frantumato a colpi di artiglieria.
Balcanizzato dai suoi vicini di casa.
La terra brucia, in attesa di un nuovo ordine mai costituito.
Vorrei gridare, scendere in piazza, fare qualcosa.
Mi sento impotente.
Tutto perde di significato.
Terribili notizie rimbalzano nella dining room del posto dove alloggio.
Echi senza risposta.
Mi giro, ho bisogno di parlarne.
Una ragazza sorseggia la sua tazza di latte, accanto una fetta di pane, la musica forte nelle cuffie.
Forse è autismo digitale.
‘The war in Europe and the Middle East Is going to be extremely dangerous’ ‘Do you know that?’
Annuisce, abbassa la testa, torna a ruminare.
Forse non è un argomento da affrontare, è prima mattina, i bimbi devono svegliarsi con calma.
Magari ha voglia di farsi gli affari suoi, però a forza di indifferenza mi sembra di toccare il baratro.
Chiusi nei nostri piccoli e insignificanti recinti, bolle di sapone fatte di scatti e sorrisi illusori,
nel vuoto cosmico che ci circonda, mi sento solo più che mai oggi, nella speranza remota di una colomba in arrivo.