Quando erano vive le forme della civiltà contadina, ben prima che attecchissero i nuovi ritmi della società dei consumi, l’umanità era ancora un valore largamente diffuso. E non poteva essere altrimenti, in un mondo che, soprattutto nei piccoli centri, sapeva anche farsi carico della vita dei singoli, con gesti di aiuto reciproco, comprensione e indulgenza. Gesti magari solo formali e dettati dalla consuetudine, eppure largamente ricorrenti, come quello di regalare ad un paesano bisognoso un maialino nato in eccedenza o una fila di pane appena uscito dal forno comune. Ma esisteva anche un’umanità sotterranea, lontana dai riflettori, che nel chiuso delle pareti domestiche lottava ogni giorno con i piccoli e grandi problemi della vita e tuttavia si imbatteva nell’indifferenza degli altri. Un’umanità appartata, alle prese con una vita ingiusta, con una povertà quotidiana e affetti sbagliati, eppure priva di ogni supporto o aiuto: l’umanità delle madri che subivano maltrattamenti in famiglia – a quella epoca perfino usuali, addirittura nei confronti dei figli -, e tuttavia erano circondate da un silenzio complice che non voleva rompere il ghiaccio; o ancora l’umanità di chi, per permettere ai propri figli di mangiare, era costretto a lavorare all’estero ma proprio per questo, al ritorno, faticava a reinserirsi, in un contesto comunitario ormai modificato, che sapeva restituirgli solo la poca considerazione di chi, magari più fortunato, si sentiva addirittura superiore. L’umanità, insomma, può essere raccontata, anche a Tordibetto, tenendo gli occhi bassi e incrociando, per questo, storie spesso ignorate eppure quotidiane, dietro le quali però non c’è anomalia quanto la forma, complessa e contraddittoria, della nostra natura.
Gli uomini non cambiano – Mia Martini