“Come le coci le fave son…bonnn..co’ le codichelle, co’ le codichelle”. Mario, il campanaro, soleva imitare così, ai bambini che gli si facevano incontro all’ora stabilita, i ritmi delle “suonate a doppio”, per alimentare, intorno a quegli eventi così solenni (ché di eventi si trattava), un clima di goiosa attesa. Ancora oggi, del resto, sono le campane a scandire i vari momenti della giornata: la speranza del mattino, la pienezza del mezzogiorno, il raccoglimento della sera. Al mattino il paese piano piano prende vita: richiami da una finestra all’altra, il reboante motore dei trattori che percorre i campi, il vociare frenetico dei contadini. La campagna si risveglia, ad ogni stagione, con nuova vita: la primavera al suono degli uccelli, merli e tordi che diffondono le loro acute vibrazioni, seguiti a ruota dai più lugubre suono dei piccioni; l’inverno, invece, al biancheggiante silenzio di una notte lenta a morire. Lontana, nella valle, si percepisce l’inconfondibile sirena del Pastificio Petrini, che scandisce i turni del lavoro di tanti compaesani, fungendo, per gli altri, da semplice orologio. Di sera invece, fino a qualche tempo fa, la giornata si prolungava poi nella piazzetta, soprattutto d’estate, dove le nonne si riunivano per rinfrescarsi e per intrecciare, alle interminabili partite a carte, le mille favole della vita, propria e altrui, mentre i bambini correvano e giocavano a nascondino, a ruba fazzoletto, a campana. E la domenica, il dì festivo, altre voci, altre note: quelle, più strutturate, del coro della chiesa, a riunire le preghiere e le speranze di ognuno nell’unico canto di lode.
Domenica è sempre domenica – Renato Rascel