Roberto Roversi, scrittore, poeta, paroliere, giornalista, in gioventù partigiano, famoso libraio italiano nel centro di Bologna, intorno al quale gravitava tutta una certa e forte vita culturale, amico di Pasolini, fondatore della rivista Officina e poi di Rendiconti, autore dei testi di tre album di Lucio Dalla, quindi ispiratore della svolta che portò il cantautore bolognese a comporre i suoi album più belli e famosi. Un intellettuale un po’ unico nel nostro panorama, indomito, un personaggio certamente da riscoprire e rivalutare. Lasciatevi andare alla lettura di queste belle poesie, elegie antiche e moderne, dove scorre una fresca brezza malinconica, con una assoluta empatia verso l’essere umano e il suo destino spesso incomprensibile.
Elegia per una vita perduta
Ora i querceti della nostra terra
si distendono al vento del tramonto,
nel cielo, solitario, vola un passero
al lontano silenzio della valle:
pure la vita fugge con gli anni
ormai smarriti all’ombra della morte.
(Per il fanciullo, il vento della notte
è come il canto dei rematori
-fresca foglia di ramo- e reca pace:
e l’andare del tempo non l’accora.
Ma per l’uomo il vento non ha voce).
Vita, lento fiume rapinoso!
tu scorri nel rimpianto del passato:
e come il volo improvviso degli uccelli
fugge ogni nostro pensiero.
Ora il vento che udimmo da fanciulli
cantare il sonno verde delle campane,
addormentare l’anima nel petto
agli uomini tra i fieni,
si trascina stanco sugli erbai.
La vita ci conduce verso la morte,
all’antica sorella senza nome.
Lamento per il perduto amico
Io ti conobbi, amico,
in una sera fresca di uccelli e campane,
quando nel cielo di rugiada
nascevano le Pleiadi:
la strada risuonava
di canti verso i monti,
di soavi frescure di giardini
e di risa lontane nelle fonti.
Ora più non vedrai
I pleniluni sereni,
né i bianchi giovenchi
saltare nei campi di fiori;
io ti conobbi in una chiara sera
fresca di uccelli, amico,
ma il vento non poserà
sulle tue spalle.
Elegia in una domenica di Novembre
La stagione è uguale alla mia vita:
il cielo si abbandona
al pallido riposo delle foglie,
e il vento posa sui prati
e su le umane voglie:
io sono solo nella vecchia casa
e il colle è stanco
e nulla m’appartiene.
La notte gela
il pianto delle fontane:
suono di passi dalla strada viene,
umani passi raggelati,
il lago dondola
le stanche anitre nere
e morti pesci.
Nulla è più triste del tempo
che s’eguaglia
alla vita e alla morte.
Elegos pe l’amico lontano
Amico mio dolce e lontano
amico partito e perduto
il vento non dondola il grano
nel nostro paese di collina.
Venuto è settembre,
la dolce stagione:
e io ti cerco, amico,
nella sera
quando una fresca campana
alza bianchi colombi dai prati.
La vita in questa terra
La vita in questa terra
asciutta e arsa
trascorre senza canti,
solo lungo i pini
vanno i pianti
di fanciulli lontani.
La vita è vana:
un suono di campana
non s’ode nel mattino degli ulivi,
il vento lieve
all’ombra dei declivi
si apre in viso alle spigolatrici.
Muore il vecchio di sera
nella casa
e la sua morte
è senza amaritudine,
dondola nella sospesa solitudine
il pianto della moglie:
ed ogni giorno
è uguale all’altro giorno
ed ogni sera
alla sera passata.
Trascorre il tempo
e va senza ritorno
e lascia l’uomo
nella dura giornata:
se l’uomo muore,
muore la sua vita
se l’uomo vive,
muore la sua anima.
Signore, perché l’uomo deve morire?
Signore, perché l’uomo
deve morire?
La donna è timida
come un ramo di pesco
e i soavi fanciulli
dal docile canto
sul petto del padre
riposavano lieti:
ma nel pianto dolcissimo
del grano
l’uomo muore
e l’anima è turbata.
Ansia ci prende
della nostra vita,
vana come l’acqua dei canneti.
Per i prati, sui fieni,
lungo i margini freschi dei fiumi,
mesto vento:
e su noi,
come il volo degli uccelli
la tristissima morte.