È morta a 75 anni nel giorno del solstizio d’estate la poetessa Patrizia Cavalli. “La sua poesia non è stata, non è, un esercizio fatto per sé, né tanto meno per essere analizzato dai critici, ma un’armoniosa medicina universale dispensata per curare tutti. A migliaia, di ogni età, sesso, mestiere, estrazione sociale, formazione culturale, hanno affollato le sue performance nei teatri e nelle sale da concerto. In migliaia conoscevano e conoscono e portano a memoria i suoi versi. Più numerosi delle foglie di qualunque corona d’alloro di poeta laureato sono i fogli fermati dagli scatti dei cellulari che cospargono la rete di sue singole poesie o singoli versi sottolineati dai lettori, posati senza commenti, come un farmaco collettivo messo silenziosamente in circolo: un segreto antitodo al dolore universale, ai misteri di ciò che solo in apparenza è chiaro, in cui le ragioni e le condizioni del piacere e del dolore, i mutamenti impercettibili e decisivi che confondono o che intensificano quello che sentiamo e siamo, sono sottratti all’ombra e arresi all’evidenza” (Silvia Ronchey).
1
Salivo così bene
e scale,
possibile che io
debba morire?
Le salivo così bene
a ogni gradino
che anche il mio
più piccolo respiro
si svolgeva
mostrandosi sovrano,
e niente andava perso,
il dito medio e il mignolo
vibravano nell’intimo.
Perché è nei millimetri
che senti l’immortale disporsi
della regola.
Mai avrei potuto sembrare
più perfetta,
le chiavi in mano
col verde laccio di gomma
che le tiene e dondola.
Ma adesso
che cazzo vuole da me
questo dolore al petto
quasi al centro!
Che faccio, muoio?
O resto
e mi lamento?
2
La morte vorrei affrontarla
ad armi pari,
anche se so
che infine dovrò perdere,
voglio uno scontro
essendo tutta intera,
che non mi prenda
di nascosto e lentamente.
3
E me ne devo andare via così?
Non che mi aspetti
il disegno compiuto
ciò che si vede
alla fine del ricamo
quando si rompe
con i denti il filo
dopo averlo
su se stesso ricucito
perché non possa
più sfilarsi se tirato.
Ma quel che ho visto
si è tutto cancellato.
E quasi non avevo cominciato.