“È una poesia, quella di Angeles Mora, che accompagna il divenire di una vita. Si potrebbe dire che si tratta di una poesia esistenziale…. Tutta l’esistenza traspare dalla lontananza di un ricordo che convive con la dimenticanza, la parola dell’autrice è chiara, cristallina… La poesia, nutrita di molti maestri, è dunque un’opera paziente, è un esame di coscienza al cospetto di una solitudine interiore, è una conquista delle proprie ragioni per vivere… In gioco, tra la pagina e l’essere, c’è lo splendore della vita” (D.Piccini).
Sapere di te
La solitudine arriva un giorno
e sa di te,
è qualcosa di tuo ormai,
come il suono
della tua voce
che soltanto tu
puoi sentire da dentro
e mai nessun altro conosce
come suona
la tua voce in te,
come sa
la tua solitudine.
La solitudine
arriva a poco a poco
ma all’improvviso
un giorno
apre la porta
ed è come
se la stessi aspettando
da sempre.
Così si trasforma
nel tuo doppio,
indossa i tuoi vestiti,
ha il tuo viso,
ama come te stessa
la luna
alla finestra dell’estate,
guarda con i tuoi occhi
lo specchio dell’alba,
mastica il dolore
o l’amore
sulle tue labbra.
E’ riuscita
a sfuggire sgranando
nuove dimenticanze
e richiami di te,
ma arriva
per restare un giorno.
Si modella
sul tuo sorriso triste.
Ti lascia
la sua amarezza
o la sua
inconfondibile dolcezza,
solo cosa tua.
La riconosci,
la stavi aspettando.
E’ la tua solitudine,
sa di te,
sa cose di te.
Nell’acqua de i tuoi occhi
si bagna.
Sotto il tappeto
Le rovine passeggiano
sotto al tetto.
Sono le mosche,
stanno come
a casa loro.
Si intrufolano anche
Sotto il tappeto,
se provi a nasconderle.
Indubbiamente
sono fastidiose
ma poi uno
finisce per
farci l’abitudine.
Con loro
è difficile vivere,
ma, ahimè,
senza di loro
come riconoscersi
allo specchio,
pensare il cielo azzurro
dietro le occhiaie,
la terra delle ore
che albeggiano,
l’alone delle finestre,
la solitudine,
la passeggiata,
la macchia che
mi ha inondato la gonna.
Le rovine sono così.
Sono la nostra ombra
al momento di vivere,
lavo i piatti,
scrivo, leggo un po’,
ascolto la radio
e loro sono lì,
sempre in agguato,
polvere dai corridoi,
compagne.
Per quanto ci provi,
non c’è modo
di poter fare a meno
delle nostre rovine.
Come la pelle
si attaccano
e cadono
e si rinnovano,
ti inseguono,
occhio di gatto,
passi morbidi di gatto
con unghie nascoste.
Non c’è modo
di scampare
al loro graffio.
Dire loro buonanotte,
semplicemente,
e provare a dormire
sino a domani.
Vie del ritorno
Vivere
ha un rumore
di fondo
sordo
come il silenzio.
Mi ascolto vivere
e aspetto la tempesta,
la nave,
furie che irrompano
su questa pioggia fine.
Si apre il giorno
e le onde si aprono
e noi passiamo
senza che si noti,
piovendo dentro,
con le mani vuote
e negli occhi la luce
che accompagna
la via del ritorno.
Il ritorno è l’inizio.
Lo zittiamo.
La pelle
va annuvolandosi
come il cielo.
Ma le vene sanno
Inazzurrire il passaggio
del sangue.
Fiumi che vanno
al mare,
che non abitua a morire,
silenziosi, stanchi,
ma senza fine.
Vivere
ha quel rumore
di fondo:
Le vie del ritorno
non tornano.
Cominciano sempre.
Senza nome
Ho attraversato
quella città
cercando un sogno.
In lei ho vissuto,
straniera,
e ogni corpo
che ho incrociato
per strada
era una lettera
nel mio libro
di ombre.
Ho vissuto
quella città
sentendo
la sua luce pulita,
il blu freddo
di un sole ignaro,
il suo coltello d’aria,
residui di parole
con accento straniero.
Lo so che siamo soli,
che ciascuno
è un quaderno
a parte.
Ho attraversato
quella città
volendo farla mia,
ti cercavo.
Ho tracciato
nel mio cuore
le righe
delle sue strade,
i nomi
delle sue piazze.
Con la calligrafia
di un bambino
disegnavo
i suoi alberi,
le sue fontane,
sulla pagina bianca,
sino a coprire
la vertigine
degli angoli vuoti
del mio diario.
Per un po’ di tempo, sì,
ho attraversato
quella città
senza trovarti,
incrociandomi con te.
Gli oblii
Parlo del fatto
che ho dimenticato
ciò che mi dato la vita,
ciò che mi ha fatto vivere,
direbbe Holderlin.
Fare merenda
con del cioccolato
intorno alle cinque.
L’arco e le frecce
di Robin Hood.
Il fico che fu
il centro del mondo.
Le esplorazioni
nel canneto.
Cose palpabili
come il silenzio adesso,
palpabili come
la paura e la stanchezza.
O come la canzone
che canterò domani
e passerà come è
passata la tua mano.
Un nuovo oblio,
amore:
il tuo amore
in questa notte