15 Settembre 2024

Il delicato miracolo di ogni giorno. Angeles Mora (1952, Rute, Spagna)

Claudio Volpi
Il delicato miracolo di ogni giorno. Angeles Mora (1952, Rute, Spagna)

“È una poesia, quella di Angeles Mora, che accompagna il divenire di una vita. Si potrebbe dire che si tratta di una poesia esistenziale…. Tutta l’esistenza traspare dalla lontananza di un ricordo che convive con la dimenticanza, la parola dell’autrice è chiara, cristallina… La poesia, nutrita di molti maestri, è dunque un’opera paziente, è un esame di coscienza al cospetto di una solitudine interiore, è una conquista delle proprie ragioni per vivere… In gioco, tra la pagina e l’essere, c’è lo splendore della vita” (D.Piccini).

Sapere di te

La solitudine arriva un giorno

e sa di te,

è qualcosa di tuo ormai,

come il suono

della tua voce

che soltanto tu

puoi sentire da dentro

e mai nessun altro conosce

come suona

la tua voce in te,

come sa

la tua solitudine.

 

La solitudine

arriva a poco a poco

ma all’improvviso

un giorno

apre la porta

ed è come

se la stessi aspettando

da sempre.

Così si trasforma

nel tuo doppio,

indossa i tuoi vestiti,

ha il tuo viso,

ama come te stessa

la luna

alla finestra dell’estate,

guarda con i tuoi occhi

lo specchio dell’alba,

mastica il dolore

o l’amore

sulle tue labbra.

 

E’ riuscita

a sfuggire sgranando

nuove dimenticanze

e richiami di te,

ma arriva

per restare un giorno.

Si modella

sul tuo sorriso triste.

Ti lascia

la sua amarezza

o la sua

inconfondibile dolcezza,

solo  cosa tua.

 

La riconosci,

la stavi aspettando.

E’ la tua solitudine,

sa di te,

sa cose di te.

Nell’acqua de i tuoi occhi

si bagna.

 

Sotto il tappeto

Le rovine passeggiano

sotto al tetto.

Sono le mosche,

stanno come

a casa loro.

Si intrufolano anche

Sotto il tappeto,

se provi a nasconderle.

Indubbiamente

sono fastidiose

ma poi uno

finisce per

farci l’abitudine.

Con loro

è difficile vivere,

ma, ahimè,

senza di loro

come riconoscersi

allo specchio,

pensare il cielo azzurro

dietro le occhiaie,

la terra delle ore

che albeggiano,

l’alone delle finestre,

la solitudine,

la passeggiata,

la macchia che

mi ha inondato la gonna.

Le rovine sono così.

Sono la nostra ombra

al momento di vivere,

lavo i piatti,

scrivo, leggo un po’,

ascolto la radio

e loro sono lì,

sempre in agguato,

polvere dai corridoi,

compagne.

Per quanto ci provi,

non c’è modo

di poter fare a meno

delle nostre rovine.

Come la pelle

si attaccano

e  cadono

e si rinnovano,

ti inseguono,

occhio di gatto,

passi morbidi di gatto

con unghie nascoste.

Non c’è modo

di scampare

al loro graffio.

Dire loro buonanotte,

semplicemente,

e provare a dormire

sino a domani.

 

Vie del ritorno

Vivere

ha un rumore

di fondo

sordo

come il silenzio.

Mi ascolto vivere

e aspetto  la tempesta,

la nave,

furie che irrompano

su questa pioggia fine.

 

Si apre il giorno

e le onde si aprono

e noi passiamo

senza che si noti,

piovendo dentro,

con le mani vuote

e negli occhi la luce

che accompagna

la via del ritorno.

 

Il ritorno è l’inizio.

Lo zittiamo.

La pelle

va annuvolandosi

come il cielo.

Ma le vene sanno

Inazzurrire il passaggio

del sangue.

 

Fiumi che vanno

al mare,

che non abitua a morire,

silenziosi, stanchi,

ma senza fine.

Vivere
ha quel rumore
di fondo:
Le vie del ritorno
non tornano.
Cominciano sempre.

 

Senza nome

Ho attraversato

quella città

cercando un sogno.

In lei ho vissuto,

straniera,

e ogni corpo

che ho incrociato

per strada

era una lettera

nel mio libro

di ombre.

Ho vissuto

quella città

sentendo

la sua luce pulita,

il blu freddo

di un sole ignaro,

il suo coltello d’aria,

residui di parole

con accento straniero.

Lo so che siamo soli,

che ciascuno

è un quaderno

a parte.

Ho attraversato

quella città

volendo farla mia,

ti cercavo.

Ho tracciato

nel mio cuore

le righe

delle sue strade,

i nomi

delle sue piazze.

Con la calligrafia

di un bambino

disegnavo

i suoi alberi,

le sue fontane,

sulla pagina bianca,

sino a coprire

la vertigine

degli angoli vuoti

del mio diario.

Per un po’ di tempo, sì,

ho attraversato

quella città

senza trovarti,

incrociandomi con te.

 

Gli oblii

Parlo del fatto

che ho dimenticato

ciò che mi dato la vita,

ciò che mi ha fatto vivere,

direbbe Holderlin.

Fare merenda

con del cioccolato

intorno alle cinque.

L’arco e le frecce

di Robin Hood.

Il fico che fu

il centro del mondo.

Le esplorazioni

nel canneto.

 

Cose palpabili
come il silenzio adesso,
palpabili come
la paura e la stanchezza.
O come la canzone
che canterò domani
e passerà   come è
passata la tua mano.

Un nuovo oblio,
amore:
il tuo amore
in questa notte

Claudio Volpi

Nato ad Assisi, dove vive e lavora. Laureato in Lettere Moderne, si occupa di Arte e Antiquariato, ha una Galleria D’Arte nel centro storico della città. Dagli anni ottanta ha pubblicato diverse raccolte di poesie, l’ultima quest’anno con il volume “Voci Versate”, Casa Editrice Pagine Roma.

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