Siamo sempre fermi lì, nonostante tutto, a fare la guerra, ad uccidere ed essere uccisi.
Una poesia potente di Salvatore Quasimodo, pubblicata quasi ottanta anni fa, ma che potrebbe essere stata scritta oggi.
Uomo del mio tempo
Sei ancora quello
della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo.
Eri nella carlinga,
con le ali maligne,
le meridiane di morte,
t’ho visto,
dentro il carro di fuoco,
alle forche,
alle ruote di tortura.
T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta
persuasa allo sterminio,
senza amore,
senza Cristo.
Hai ucciso ancora,
come sempre,
come uccisero i padri,
come uccisero gli animali
che ti videro per la prima volta.
E questo sangue
odora come nel giorno
quando il fratello
disse all’altro fratello:
“Andiamo ai campi”.
E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te,
dentro la tua giornata.
Dimenticate,
o figli,
le nuvole di sangue.
Salite dalla terra,
dimenticate i padri:
le loro tombe
affondano nella cenere,
gli uccelli neri,
il vento,
coprono il loro cuore.