Così presenta Elisa Donzelli per il premio Strega la poesia di Stefano Simoncelli (1950-2025) riferendosi alla sua raccolta Sotto falso nome: “La feroce grazia delle poesie di abbandono che Stefano Simoncelli ci offre nel suo ultimo libro, si trova tutto nel racconto di un tempo imminente nella memoria: i poeti conosciuti e amati, il padre, la madre, e soprattutto la compagna di una vita, morta ma presenza costante, là, che lo attende, che dà un senso all’esistenza anche nella sua assenza. Il poeta, assorbito in luoghi reali dove predomina la nebbia che viene dal mare (a natia Cesenatico, la sua Cesena) e sotto falso nome, come se appunto non avesse identità, con una grazia per così dire interiore, riduce il mondo e ce lo ripropone con una speciale nuova evidenza, un nitore fortissimo. Il lutto inconsolabile, le ossessioni del passato e del presente, la memoria affievolita, la forza del ricordo… è il modo con cui Simoncelli mette in gioco l’amore, terreno e sacro, mondano e possibile, irrinunciabile”. Una gran bella voce nascosta nella a volte meravigliosa provincia italiana.
1
Bisbigliano tra le luci al neon
sotto la pensilina.
Vogliono che tenda l’orecchio
e li riconosca uno alla volta
mentre arrivano
i treni notturni
alla stazione della memoria.
Chi siete?
Da dove venite ?
vorrei chiedere,
ma sbanda
la mia ombra
sul marciapiede
di tante partenze improvvise,
il cuore si rattrappisce,
manca l’aria…
‘Mia moglie è con voi?
Fatemi ascoltare ancora
la sua voce’
supplico spalancando
le braccia nel sogno
ormai spento.
2
Si schierano dietro
al collegio Pascoli
sul campetto
intriso di pozzanghere,
senza righe
e con quattro pietre
al posto dei pali.
‘Sbrigati, tra poco
sarà buio’
sembra che gridino
sbracciandosi verso
la mia finestra
dove resto immobile,
non respiro,
mentre transitano
gli inverni,
vento gelido
dopo vento gelido,
bufera di neve
dopo bufera di neve,
fino a un improvviso
squarcio di sole
accanto all’invidia
con cui li intravvedo
dare calci al pallone,
quello di una volta
con le cuciture di corda
e più pesante del dolore,
più viscido del tormento
di essere qui,
forse in un sogno
o forse morto
senza saperlo.
A mio padre
Per alcuni anni,
prima di addormentarmi,
ho sperato sarebbe
venuto a prendermi
come davanti
al portone della scuola
quando gli consegnavo
la cartella
e mi aggrappavo
al suo braccio.
Sarebbe stato là,
sul marciapiede,
mi illudevo,
distante da tutti
e fumando,
ma niente, nemmeno
la brace della sigaretta
a luccicare nel buio
dove lo immaginavo.
Poi in un’ alba livida
e pieno di vento,
quando ormai
non ci contavo più,
si è aperta e richiusa
la porta dove dormivo
e l’ho visto: era lì,
ai piedi del letto,
che mi aspettava fumando.
3
Non posso dirti
se finisce quassù,
in questo capolinea
sulle colline,
la mia corsa,
ma non vedo
vie di fuga possibili
o un posto sicuro
dove andare a nascondermi.
Ho chiuso sotto chiave
alcuni stracci
di nuvole che
si agitavano
in un vento straniero
e i sentieri tracciati
sull’erba alta
delle lepri ferite
che scivolavano
nella macchia
inseguite dai bracconieri
e vertiginosi turbini di neve.
E’ questo il poco,
quasi il niente,
che sono riuscito
a mettere da parte
e molto presto
potrai ritrovarmi
dietro al ritmo
dei tuoi passi
che non hanno più eco.