29 Maggio 2025

Corrado detto mosca in cervello

Elvio Lunghi
Corrado detto mosca in cervello

Nel frattempo Corrado, di nazione sveva, duca di Spoleto e conte di Assisi, vedendo che anche le sue terre tornavano sotto la Chiesa Romana, provò in molti modi di entrare nelle grazie del papa, offrendogli d’impulso diecimila libre, un censo annuo di cento libre d’argento, più duecento militi agli ordini del patrimonio della Chiesa, da Radicofani a Ceprano. A garanzia della sua fedeltà e di quella dei suoi uomini, si impegnò a consegnare i propri figli in ostaggio e a sostenere tutte le spese per il loro mantenimento. Al papa queste condizioni sembravano vantaggiose, ma poiché molti erano scandalizzati che volesse servirsi dei tedeschi in Italia, essendosi questi comportati da tiranni nel ridurla in servitù, parteggiando per la libertà non accettò l’offerta. Visto che la trattativa non andava avanti, Corrado si assoggettò incondizionatamente al papa: consegnò Narni ad Ottaviano, vescovo ostiense, e a Gerardo, cardinale diacono di S. Adriano, alla cui presenza insieme ai vescovi, ai baroni e ad una gran folla giurò sopra il Vangelo, le reliquie e la croce, di volersi sottomettere al papa; sciolse dai vincoli di obbedienza tutti i suoi vassalli e dette loro mandato di passare sotto il dominio della Chiesa Romana. Subito consegnò le due fortezze sotto il suo controllo, cioè la rocca di Gualdo e la rocca di Cesi. Comandò che fosse consegnata anche la rocca di Assisi. Ma gli assisani, che la occupavano, non permisero che la rocca fosse consegnata al dominio del papa e presala la rasero al suolo. Nonostante questo, la Chiesa Romana recuperò il ducato di Spoleto e la contea di Assisi, vale a dire Rieti, Spoleto, Assisi, Foligno e Nocera, con tutte le loro diocesi. Di questi ritardi era fortemente sospettato Corrado, che fece ritorno in Germania su mandato del papa. Questo recuperò anche Perugia, Gubbio, Todi e Città di Castello, con i loro comitati, e ricevette il giuramento di fedeltà da parte dei cittadini e dei baroni. Fece distruggere il castello di Monte Santa Maria, al cui interno, al tempo del suo predecessore, Corrado, detto anche mosca in cervello, aveva tenuto in prigionia il vescovo ostiense Ottaviano, mentre tornava dalla Francia, perché la sua demolizione restasse a titolo di eterna memoria.

Gesta Innocentii pp. III

Chi rase al suolo la rocca sveva di Assisi? Innocenzo III ne attribuì la responsabilità allo stesso Corrado di Urslingen, che si sarebbe avvalso della complicità degli «Asisiniates, qui eam tenebat obsessam», vale a dire dei «boni homines», la nobiltà di origine germanica che dai tempi della conquista di Assisi da parte di Cristiano di Magonza nel 1173-74 aveva il pieno controllo della città e del suo comitato. Una voce contraria sosteneva che la rocca era stata abbattuta per il disegno fraudolento di Innocenzo III di non voler mantenere gli impegni presi con il conte; nel qual caso gli «Asisinates» responsabili del misfatto andavano cercati tra gli «homines populi», nel ceto cittadino di mercanti e di artigiani che sobillati dal pontefice si sarebbero vendicati delle angherie subite dai familiari del conte, radendo al suolo la rocca e incendiando le residenze urbane delle famiglie nobili e i loro castelli nel comitato. Questa voce era giunta alle orecchie del pontefice, il quale il 16 aprile 1198 scrisse una lunga lettera ai rettori della Tuscia per stornare dal papato il sospetto «di avere agito con frode e dolo ai danni di Corrado, già duca di Spoleto, sotto il velo di aver simulato l’assalto alla rocca di Assisi e di trattenere con l’inganno alcune terre, che si era impegnato a restituire a Corrado»; avvenimenti che avevano provocato mormorii e scandalo contro la Chiesa Romana all’interno della federazione della Tuscia. Al contrario – sosteneva Innocenzo – dopo lunghe trattative e tergiversazioni i cardinali Ottaviano e Gerardo erano finalmente riusciti a convocare Corrado nella città di Narni, dove alla presenza del popolo e insieme a molti vescovi e consoli il deposto duca aveva giurato sopra il Vangelo, la croce e le reliquie, di voler consegnare alla Chiesa tutte le terre in suo possesso in cambio della remissione della scomunica. L’impegno era stato fedelmente mantenuto per le città di Foligno, di Terni e per altre terre del ducato, che Corrado aveva sciolto dal vincolo di obbedienza nei suoi confronti e che si erano date alla Chiesa. «Ma quando il nostro siniscalco con i suoi messaggeri si recò ad Assisi per prendere possesso della rocca, per l’opposizione e gli ostacoli procurati dagli assisani e dai perugini non poté compiere quanto intendeva». Innocenzo voleva rassicurare i rettori della Tuscia quanto fosse lieve il giogo imposto dalla Chiesa sulle spalle degli avversari, come dimostrava il comportamento tenuto nei confronti di Markvardo di Anweiler, nonostante che questi avesse incendiato, depredato e devastato molti edifici sacri. Una copia della lettera fu inviata ai consoli e al popolo di Perugia e ai consoli e il popolo di Assisi, per fare saper a entrambi i comuni umbri che Innocenzo III li riteneva responsabili di aver agito per conto di Corrado di Urslingen.

Elvio Lunghi

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