“Battito, tremore, infinito sospirare. Possibile alla mia età? Non mi succedeva diverso a venticinque anni. Eppure ho un senso di fiducia, di incredibile tranquilla speranza. È così buona, così calma, così paziente. Così fatta per me. Dopotutto lei mi ha cercato. Ma perché non ho osato lunedì? Paura?… È un passo terribile”. (9 marzo 1950)
“Il passo è stato terribile eppure è fatto. Incredibile dolcezza di lei, parole di speranza. Darling, sorriso, lungo ripetuto piacere di star con me. Le notti di Cervinia, le notti di Torino. È una ragazza, una normale ragazza. Eppure è lei, terribile. Dal profondo del cuore: non meritavo tanto”. (16 marzo 1950)
“Nulla. Non scrive nulla. Potrebbe essere morta. Devo avvezzarmi a vivere come se questo fosse normale.
Quante cose non le ho detto. In fondo il terrore di perderla ora, non è l’ansia del possesso ma la paura di non poterle più dire queste cose. Quali siano queste cose ora non so. Ma verrebbero come un torrente quando fossi con lei. È uno stato di creazione. Oh dio, fammela ritrovare” (22 marzo 1950)
“L’amore è veramente la grande affermazione. Si vuole essere, si vuole contare, si vuole, se morire si deve, morire con clamore, restare insomma. Eppure sempre gli è allacciata la volontà di morire, di sparirci: forse perché esso è tanto prepotentemente vita che, sparendo in lui, la vita sarebbe affermata anche di più? (23 marzo 1950)
“Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla” (25 marzo 1950)
“È cominciata la cadenza del soffrire. Ogni sera, all’imbrunire, stretta al cuore, fino a notte.” (8 maggio 1950)
“Adesso il dolore invade anche il mattino” (16 maggio)
“Cara, forse tu sei davvero la migliore, quella vera. Ma non ho più il tempo dirtelo, di fartelo sapere, e poi, se anche potessi, resta la prova, il fallimento. Vedo oggi chiaramente che dai 28 a oggi ho sempre vissuto sotto questa ombra, qualcuno direbbe un complesso. E dica pure: è qualcosa di molto più semplice. Anche tu sei la primavera, un’elegante, incredibilmente dolce e flessibile primavera, dolce, fresca, sfuggente, corretta e buona, un fiore dolcissimo della valle del Po, direbbe chi so io. Eppure, anche tu sei soltanto un pretesto, la colpa, dopo che mia, è soltanto dell’inquieta angoscia che sorride da sola.
Perché morire? Non sono mai stato vivo come ora, mai così adolescente” (16 agosto 1950)
“La cosa più segretamente temuta accade sempre. Scrivo: o Tu, abbi pietà. E poi?
Basta un po’ di coraggio.
Più il dolore è determinato e preciso, più l’istinto della vita si dibatte, e cade l’idea del suicidio.
Sembrava facile, a pensarci. Eppure donnette l’hanno fatto. Ci vuole umiltà, non orgoglio.
Tutto questo fa schifo.
Non parole. Un gesto. Non scriverò più” (18 agosto 1950)
Questi pensieri, tratti dal ‘Mestiere di Vivere’ di Cesare Pavese sono dedicati soprattutto all’attrice Constance Dowling, che l’autore amava non corrisposto.
Il 27 agosto 1950 il poeta si suicidò in una camera dell’albergo Roma di Torino. Aveva 42 anni. Sulla prima pagina dei ‘Dialoghi con Leucò’, che si trovava sul tavolino aveva scritto: “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”.
You, wind of March
Sei la vita e la morte
Sei venuta di marzo
sulla terra nuda
il tuo brivido dura.
Sangue di primavera,
anemone o nube,
il tuo passo leggero
ha violato la terra.
Ricomincia il dolore.
Il tuo passo leggero
ha riaperto il dolore.
Era fredda la terra
sotto povero cielo,
era immobile e chiusa
in un torpido sogno,
come chi più non soffre.
Anche il gelo era dolce
dentro il cuore profondo.
Tra la vita e la morte
la speranza taceva.
Ora ha una voce e un sangue
ogni cosa che vive.
Ora la terra e il cielo sono
un brivido forte,
la speranza li torce,
li sconvolge il mattino,
li sommerge il tuo passo,
il tuo fiato d’aurora.
Sangue di primavera,
tutta la terra trema
di un antico tremore.
Hai riaperto il dolore.
Sei la vita e la morte.
Sopra la terra nuda
sei passata leggera
come rondine o nube,
il torrente del cuore
si è ridestato e irrompe
e si specchia nel cielo
e rispecchia le cose,
e le cose, nel cielo e nel cuore
soffrono e si contorcono
nell’attesa di te.
È il mattino, è l’aurora,
sangue di primavera,
tu hai violato la terra.
La speranza si torce,
e ti attende, ti chiama.
Sei la vita e la morte.
Il tuo passo è leggero.
Cesare Pavese, 25 Marzo 1950