24 Novembre 2024

Alle quattro del mattino Philip Larkin (1922-1985)

Claudio Volpi
Alle quattro del mattino Philip Larkin (1922-1985)
Nero e Oro - Alberto Burri

“…quello che sappiamo, che abbiamo saputo sempre, che non si può sfuggire, ma nemmeno accettare”. Quante volte ci troviamo svegli alle quattro del mattino, l’ora più buia, più difficile, l’ora del terrore, gli occhi sbarrati, con i nostri pensieri, le nostre paure… Philip Larkin, un poeta caro agli inquieti.

 

Aubade

 

Lavoro tutto il giorno,

a sera sono brillo.

Alle quattro sto sveglio

nel buio muto, fisso.

Gli orli delle tende

via via schiariranno.

Frattanto vedo quello

che in realtà c’è sempre:

la morte infaticabile,

d’un giorno intero più vicina,

che rende ogni pensiero impossibile

tranne come dove e quando

dovrò morire io stesso.

Arido interrogarsi:

eppure la paura di morire,

d’essere già morto,

lampeggia nuovamente,

avvince e terrorizza.

 

La mente sbianca all’abbaglio.

Ma non di rimorso,

il bene non fatto,

l’amore non dato,

il tempo strappato

e non usato,

né disgraziatamente

perché una sola vita

può spendersi tutta

a riscattare

i suoi inizi sbagliati,

e non riuscirci mai;

ma per il vuoto

totale ed eterno,

la sicura estinzione

alla quale andiamo incontro,

dove saremo

persi per sempre.

Non essere qui,

né in nessun altro luogo,

e presto.

Nulla di più terribile,

nulla di più vero.

 

Ecco un modo speciale

di prendersi quella paura

che nessun trucco scaccia.

Provò la religione,

quel logoro e vasto

broccato musicale

creato a farci credere

che non morremo mai,

tutte quelle sciocchezze del tipo

Nessun essere pensante

può temere una cosa

che non sente,

senza accorgersi

che è questo

a spaventarci:

niente vista,

niente suono,

niente tatto o sapore,

né odore,

niente con cui pensare,

niente da amare

e niente a cui legarsi,

l’anestesia dalla quale

nessuno si risveglia.

 

Così rimani

ai margini della visione,

una piccola fioca presenza,

un freddo immobile

che frena i nostri impulsi

fino all’indecisione.

Tante cose

potrebbero non accadere mai:

questo accadrà,

e il capirlo deflagra furioso

in bruciante paura

se ci coglie

senza niente da bere

o compagnia.

Il coraggio non serve:

vale a non spaventare altri.

L’essere forte

non risparmia la tomba

a nessuno.

La morte non cambia

se frigni o se l’affronti.

 

Lentamente la luce cresce,

la stanza prende forma.

Certo come un armadio

sta quello che sappiamo,

che abbiamo sempre saputo,

che non si può sfuggire,

ma nemmeno accettare.

Una parte dovrà cedere.

Frattanto i telefoni vegliano,

pronti a squillare

in uffici ancora chiusi,

e l’intero indifferente

intricato mondo in affitto

comincia a svegliarsi.

Il cielo è bianco come calce,

senza sole.

Il lavoro va fatto.

Postini come dottori

vanno di casa in casa.

 

Claudio Volpi

Nato ad Assisi, dove vive e lavora. Laureato in Lettere Moderne, si occupa di Arte e Antiquariato, ha una Galleria D’Arte nel centro storico della città. Dagli anni ottanta ha pubblicato diverse raccolte di poesie, l’ultima quest’anno con il volume “Voci Versate”, Casa Editrice Pagine Roma.

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